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Interstellar

Regia di Christopher Nolan vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Interstellar

di ROTOTOM
3 stelle

Interstellar: il buco (nero) con il nulla intorno.

scena

Interstellar (2014): scena

2014. Wormhole. Congiunzione di due mondi a distanza siderale l’uno dall’altro ottenuta grazie alla distorsione spazio temporale come da  teoria del fisico Kip Thorn, specializzato in fisica della gravitazione e astrofisica e uno dei maggiori esperti di relatività generale, recentemente passato al cinema in qualità di produttore esecutivo nel nuovo blockbuster dei fratelli Nolan. Jonathan scrittore e Christopher regista. La gravità e lo spazio tempo. Buchi neri e fisica quantistica. Pentadimensione. Fantascienza dei paroloni da CRAL degli scienziati sulle quali montare, tra un bosone e l’altro, una storia d’amore e speranza per spettatori medio informati sulle bizzarrie fisiche spazio temporali consultabili mensilmente su Focus rivista. La scienza svuotata di senso e ridotta al minimo segno comprensibile, la parola, che evoca contemporaneamente il tutto e il niente del suo senso perduto. In quel vuoto, in quella vaga nebulosa di brodo primordiale, i Nolan costruiscono per noi l’immaginario inimmaginabile del mistero dello spazio profondo.

Wormhole

 


1978. Luigi Cozzi a poche settimane dall’uscita di Star Wars, folgorato dalla struttura sci-fantasy del film di George Lucas e dal successo planetario, come da italica tradizione del tempo, complice Roger Corman decide di girarsi uno Star Wars casalingo per sfruttarne l’appeal e infilarsi nel tunnel – wormhole-  del successo. Nasce così Scontri stellari oltre la terza dimensione, noto all’estero come Star Crash. Un kolossal dell’indigenza fatto di scenografie di cartapesta, assurdità parascientifiche, tecnologia rudimental-futurista fatta di levette e lucine. Un cast eterogeneo composto da Marjoe Gortner, David Hasselhof e Nadia Cassini, Richard Plummer (futuro premio Oscar), Joe Spinell e Caroline Munro (oltre a Salvatore Baccaro, non accreditato, nella parte dell’uomo di Neanderthal).
Alla post rurale società italiana di fine anni 70 il doppiaggio di Star Wars aveva già trasformato la Guerra dei Cloni accennata da Obi-wan Kenobi a Luke Skywalker, in Guerra dei Quoti. A quell’epoca i cloni non si sapeva proprio cosa fossero e Quoti sapeva più di “popolo”.
Cozzi invece impone la parola al pubblico come stordimento fantascientifico che fonda nell’incomprensibilità iperbolica del suo significato, il mistero stesso della fantasia della scienza.
Ecco quindi che l’eroe, Akton,  ha in dono poteri supernaturali, e l’eroina che porta il peso di un nome che sembra una canzone di Tozzi, Stella Star, si smarrisce succintamente vestita su un misterioso pianeta di ghiaccio dove la temperatura scende di migliaia di gradi  in barba a qualsiasi postulato scientifico.

 

Wormhole

 

scena

Il cavallo di Torino (2011): scena

2011. Il padre e la figlia inchiodati al loro destino da un bianco e nero furibondo, entrano nella casa spoglia, in silenzio. Chiudono a fatica la porta sferzata da un vento impossibile che spazza la terra senza sosta. Nella pietà dei rispettivi sguardi si avvicinano al tavolo per consumare uno scarno pasto, durante uno degli ultimi giorni della loro esistenza. Il capolavoro di Béla Tarr, Il cavallo di Torino, mette in scena la fine del mondo conosciuto da una prospettiva interna, metafisica e sensoriale. La fine di un mondo che probabilmente è la mente di Nietzsche ottenebrata dalla follia. In un’inquadratura a camera fissa di un tavolo e due reietti silenziosi, Tarr unisce il senso di fine di una mente capace di contenere un universo. L’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo diventano l’uno contenitore dell’altro.

 

Wormhole

 

Matthew McConaughey

Interstellar (2014): Matthew McConaughey

La stessa scena è (sembra) ripresa in Interstellar. Il mondo è alla fine e un vento incessante spazza la terra, resa arida e inospitale dai cambiamenti climatici. Gli interpreti entrano nella loro casa. E sproloquiano. Il dramma della consapevolezza della fine del mondo conosciuto espresso da Béla Tarr si fonde con l’esasperazione verbale delle cause che hanno condotto alla fine accumunando il senso del film all’iperbole luigicozziana trasformando la fantasia della scienza nella scienza della fantasia. Lo spazio tempo si piega ai voleri degli sceneggiatori e ad una fine improbabile viene imposto, a ritroso, una giustificazione scientifica il cui incipit è l’aggancio emotivo: la salvezza della famiglia dell’eroe e per sineddoche, la salvezza di tutte le altre nel mondo. La famiglia, cellula fondante la società carica di significati intimi e profondi quanto lo spazio stesso. Un infinitamente piccolo, che come ci viene ricordato più e più volte, racchiude l’infinitamente grande.

 

Wormhole

 

Nello spazio nessuno può sentirti urlare. Alien, 1979

 

Wormhole

 

Invece in Interstellar ti sentono parlare eccome. La consegna del silenzio è costantemente violata da una messa in scena esagitata e ipertrofica, più Nolan di qualsiasi Nolan, il dispiegamento dei piani temporali tanto cara ai fratelli cineasti, è più che mostrata, costantemente esposta, esplicata e scontata.
Piuttosto che perdersi nel mistero dilatando il tempo – come farebbe guarda caso un buco nero – in favore dell’introspezione, Nolan cerca di coprire le inverosimiglianze, i buchi di sceneggiatura e le scorciatoie interstellari con spiegazioni verbose, buttate lì a mero vantaggio dello spettatore il quale piuttosto che interrogarsi sul chi siamo e dove stiamo andando, vira sul cosa vuol dire  e cosa sta succedendo.

Wormhole

 

Non sappiamo più quando stiamo andando. Non sappiamo più quando stiamo facendo. (Parola di Quelo, Pippo Chennedy Show, 1997)

 

Wormhole

 

C’è grossa crisi in Nolan. La didascalia della fantascienza filosofica che propone, slegata dei giochi a incastro dei film precedenti, si adagia senza potenza su immagini che non trascendono mai il senso del mostrato. Il significante rimane tale, imbrigliato nella materia fredda del digitale senza farsi mai significato. Condizione che sarebbe accettabile in un film di puro “genere” dove i personaggi si identificano solo e solamente dalle loro azioni ben definite da codici che si frappongono come filtri tra la realtà e la realtà filmica. Neppure questo succede. Il pasticciaccio brutto della via lattea, tra inseguimento di una verosimiglianza scientifica dettata dal patrocinio del fisico Kip Thorn e le sue teorie, il melò sgraziato sull’importanza della famiglia e l’avventura del pioniere in cerca di un New World,  invece di spostare in avanti lo sguardo verso il futuro – narrativo, stilistico, tecnologico - , fa collassare il film in un buco nero di ovvietà, banalità, piattume da medio intrattenimento rivestito da kolossal che si nebulizza appena usciti dalla sala.

 Il cinema di fantascienza estende l’ontologia primaria (la realtà) nell’ontologia secondaria (la realtà filmica) tramite il mezzo della tecnologia, da qui lo sviluppo, e la risoluzione, dei dubbi etici, morali e sociali che questa nuova realtà impone.  Non avendo una propria “forma”, la fantascienza mutua quella di altri generi ed è proprio nella risoluzione delle conseguenze della traslazione nel futuro di un nostro presente che sta la forza (o la debolezza) del cinema di fantascienza. In Interstellar tutto questo viene fatto in maniera estremamente grezza, retorica e stanca. La pochezza della messa in scena – camuffata e imbellettata dai potenti mezzi produttivi che mirano allo stordimento più che all’emozione – pesca e rielabora un immaginario fantascientifico già obsoleto presentando personaggi improbabili che espongono emozioni senza emozionare. Nolan svacca un buono spunto – l’amore è l’unica cosa che attraversa il tempo, immutabile – nella classica sceneggiatura esplicativa del peggior cinema americano d’intrattenimento  e collezionando una sequenza di figurine “spaziali” a far da sfondo ad una storia di pulsioni umane esacerbate al limite del ricattatorio.

 

Il cinema manca totalmente, le parole decifrano ciò che le immagini non riescono a trasmettere, le spiegazioni irrompono a destare dalla noia e la scienza viene vomitata sullo schermo in una costante diluizione del significato in meri agganci per l’avanzamento della storia.  Non esiste momento di sospensione, un minuto di silenzio che possa espandere le emozioni dello spettatore oltre lo schermo, verso un infinito intimo e fecondo di interrogazioni esistenziali. L’unico momento decente del film, ovvero l’orribile tradimento di Matt Damon sul pianeta di ghiaccio, viene risolto a capocciate come in una rissa in un bar di borgata.  Anne Hathaway divisa tra scienza e amore piange e smoccola ma almeno ha sostituito i conci alla principessa Leila con un più pratico caschetto.  Mattew McConaughey che avrebbe fisico e faccia giusti, ha ancora nelle movenze il Rustin "Rust" Cohle di True Detective ma finisce sempre di più per assomigliare a Akton dello Star Crash di Luigi Cozzi, così costretto a credere nell’inverosimile, tra acrobazie multidimensionali, dati quantici e wormhole che “loro” hanno messo lì (ma loro chi?). Un insopportabile droide garrulo richiama nella forma il monolito kubrickiano. Vorrebbe farsi comprimario credibile come C-3P0  ma sproloquia a caso come il Jar Jar Binks di Star Wars Episodio 1 – La minaccia fantasma

 

Nel delirio quantico dei finali plurimi si sprofonda sempre più nel ridicolo involontario. Come uno che ruba un’astronave. Ecco.
Bulimico passo falso questo Interstellar, dove alla meraviglia si sostituisce l’arroganza produttiva e la sicumera di uno script per masse distratte, senza forma e quindi senza pensiero.  Il peggior film di Nolan e sicuramente uno dei peggiori film di fantascienza degli ultimi anni che prosegue la feconda tradizione contemporanea degli Elysium, dei Transcendence, dei After Earth e degli Oblivion.  

 

Wormhole

 

Più che una nuova Terra, sarebbe meglio cominciare a cercare un nuovo cinema. 

 

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