Regia di Christopher Nolan vedi scheda film
«Ed ora il prossimo trucco, signori»: lo dichiara ad un certo punto Matthew McConaughey, voce sul campo (dallo spazio profondo) del gargantuesco Christopher Nolan. Ed è una rivelazione (non priva di malcelata superbia), un'ammissione di colpa, un att(r)acco ai confini della sincerità al 99%. E sintomo e simbolo dell'eccesso di amore che il regista/prestigiatore riversa come pulviscolo atmosferico e cosmico su tutta la pellicola. Amore per sé e per le sue indubbie abilità di costruttore di articolati mondimeccanismi filmici (con la consueta complicità del fratello Jonathan), amore per una storia attraversata da complessi tecnicismi e luoghi teorici, amore assoluto per i suoi personaggi (tale che lo porta, nel finale, là dove l'implausibile e persino la retorica del "messaggio" frantumano le glaciali mura della cerebralità per approdare su terre nuove, inesplorate).
Amore, infine, per la cinematografia; della quale Nolan, libero come non mai di servirsi delle catene-necessità narrative (tanto più stringenti quanto più pretendono di possedere un elevato livello di credibilità fisico-scientifica), scatena la più importante e radicale delle dimensioni, la sua essenza primigenia: l'illusione.
Un buco nero al quale è impossibile sfuggire, di cui le straordinarie forze gravitazionali (la sontuosa messa in scena, fotografia e montaggio calibrati sulle rotte della perfezione, musiche e sub-suoni quantici, le strepitose prove attoriali, i fantasmagorici effetti speciali) spingono verso la massima intensità di attrazione, per poi spalancare impensabili accessi tra universi vicini/lontani sospendendo i corpi (fisici, mentali, filmici, finzionali) e la materia stessa in un incredibile organismo-limbo che, se meraviglia per il sublime gusto della "trovata" nolaniana, commuove per pathos e capacità di parlare dritto al cuore (vedasi la geniale interconnessione spaziotemporale tra McConaughey e le versioni passato/presente della figlia interpretate dalle meravigliose Mackenzie Foy e Jessica Chastain).
Non avrà (mai) la (irripetibile) estrema profondità filosofica-artistica di un Kubrick (o di un Tarkovskij), né avrà propensione per la giocosa epica avventurosa di uno Star Wars, ma con Interstellar («Tutto quello che può accadere, accadrà») - nuovo punto e ponte di non ritorno del miglior cinema "commerciale" possibile (oggi e di sempre) - Nolan entra immediatamente di diritto (anche) nell'immaginario sci fi e delle space-opera. Un viaggio lungo quasi tre ore, un meraviglioso wormhole tra l'attesa (fonte di timori, speranze) e l'inquadratura finale.
Senza fiato.
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