Regia di Ken Loach vedi scheda film
Il più lungo applauso a Cannes nel 2014. Un bel film di Ken Loach che ritorna in terra d'Irlanda col racconto commosso e molto ben costruito di una difficilissima fase storica.
La nascita della Repubblica irlandese (Eire), che nel 1921 sembrava aver dischiuso agli abitanti di quel paese un avvenire pacifico e prospero nel territorio degli avi, ora finalmente tornato nelle loro mani, in realtà non ne aveva risolto i problemi gravissimi e secolari.
La miseria e la fame non erano dovute evidentemente solo alla colonizzazione inglese: erano piuttosto il frutto dell’ingiusta distribuzione della proprietà della terra, rimasta nelle mani di pochi e ricchissimi latifondisti, appoggiati dalle gerarchie cattoliche, autorità morali sempre più ascoltate e temute e sempre più influenti sul piano politico. Molti giovani, in assenza di prospettive per il futuro, si erano lasciati sedurre dal “sogno americano”, si erano imbarcati e si sarebbero forse insediati stabilmente negli Stati Uniti se la crisi finanziaria del 1929 non avesse rimesso in discussione anche questa opportunità, costringendoli a tornare alla terra d’origine.
Accadde perciò che Jimmy Gralton (Barry Ward), il bel giovanotto che aveva abbandonato la contea di Leitrim alla volta degli Stati Uniti, lasciando la madre Oonagh(Simone Kirby), tornasse in quel luogo e lì provasse a rimettere in funzione quella sala che aveva progettato con i suoi compagni di un tempo, i suoi amici sindacalisti, come luogo di incontro e di elaborazione politica, ma anche culturale.
Ora Jmmy si proponeva nuovamente di creare un ambiente che ospitasse la danza e il divertimento insieme alle lotte sociali (Il pane e le rose…); dove si suonasse quel jazz, che nel soggiorno americano aveva imparato ad apprezzare, insieme alla musica della tradizione nazionalistica irlandese, o dove si studiasse la letteratura, così come la pittura.
Apriti cielo! Si scatenarono contro di lui i preti, i latifondisti, i conservatori e i reazionari di ogni risma (che vedevano con favore persino gli sviluppi illiberali del fascismo italiano), ma anche tutto l’ establishment dei pubblici funzionari, sindaci in testa, e della polizia, che cercavano di allontanarlo di nuovo, quel sovversivo, quel pericoloso comunista, quell’ateo e peccatore senza scrupoli!
Forte dell’accoglienza di Cannes, dove nel 2014 ha presentato questo film, il caro Ken Loach si è dimostrato fedele, anche questa volta a se stesso, col racconto – certamente rielaborato insieme all’amico sceneggiatore Paul Laverty – di un fatto storico, nel quale si è calato partecipando affettuosamente al sentire dei suoi personaggi, regalandoci, perciò, un film classico, fluente, e… di parte, come ha sottolineato quasi unanime e un po’ accigliata la critica nostrana. Quella sua partigianeria, però. è ciò che ha sempre reso vivo e palpitante il suo cinema, che lo ha fatto amare, che lo fatto applaudire a Cannes, (come accadrà in altre rassegne internazionali), con dieci minuti di standing ovation.
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