Regia di Maciej Pieprzyca vedi scheda film
Imparare la sociologia, guardando ciò che accade dalla finestra sul cortile; la geografia, scoprendo quel che arriva nelle scatole provenienti dalla Germania, la tecnologia, dai padri che ti insegnano che “non bisogna mai arrendersi”; l’anatomia dalle “tette e le stelle, le più belle invenzioni di Dio”. E’ un film straziante, Io sono Mateusz. Un film importante, perché racconta la storia sorprendente e reale di Mateusz, affetto da una grave paralisi cerebrale, diagnosticata come ritardo mentale, quindi ostacolo insormontabile alla comunicazione del bambino con il resto del mondo. Per venticinque anni si è considerato Mateusz incapace di intendere e di volere, sbagliandosi. Nel frattempo ha dovuto sentire, subire, leggere attraverso le labbra, inghiottire tanto male. Essere il bersaglio di tanti punti di vista, da quello dei suoi parenti più intimi, compresi i genitori, a quello dei genitori. Ma “quando sei un vegetale, nessuno ti capisce”. Infatti, malgrado le mille difficoltà incontrate nel tentativo di comunicare con l’esterno, Mateusz sperimenta direttamente il potere enorme della forza di volontà e della tenacia.
Diretto dal regista polacco, Maciej Pieprzyca, la storia s’ispira a quella di Przemek (che vediamo nei titoli di coda del film), ragazzino semiparalizzato dalla nascita e incapace di parlare, che però all’età di sedici anni è stato liberato dall’essere considerato “essere vegetale”.
Pieprzyca con il suo lavoro riesce a far ridere ma anche piangere molto. Perché il suo film, non solo Mateusz, emoziona. Il regista, con delicatezza e sentimento, ma non rinunciando all’ironia, costruisce il quotidiano, avvicendandosi nelle stanze, comprese quelle segrete e senza nomi, parole, suoni, ma ricche di sensazioni, che Mateusz sa dire, solo attraverso gli occhi. A tal proposito, nessun attore, meglio di Dawid Ogrodnik poteva essere scelto per tale ruolo, capace di incarnare la storia di chi deve strisciare piuttosto che camminare, urlare il silenzio, piuttosto che gridare. E allora, come spettatori, si è coinvolti, si è tentati più volte, durante il film, di offrirsi, corpo, voce e indignazione per dare la possibilità a chi non può di dire quello che sa dire, sebbene in altro modo.
Bella la scelta registica di certe trovate, funzionali alla narrazione: nella prima parte del film, nel racconto degli altri, dalla famiglia ai vicini di casa di Mateusz, spesso le inquadrature sono divise da archi, porte, stipiti, per creare due mondi diversi, anche se vicini. Lontanissimi perché l’unica barriera reale che separa è quella dell’incomunicabilità. Nella seconda parte, invece, lo sguardo si posa direttamente su Mateusz, che diventa figlio, amico, sopportazione, un incarico, ma anche possibilità e strumento d’amore. Tutto ciò, Ogrodnik, lo realizza con pochi movimenti di macchina, che insieme all’instabilità fisica di Mateusz, rendono ossimorica l’esperienza allo spettatore, turbato dal rapporto empatico e dall’impossibilità di reagire, perché quello che vede accade realmente negli ospedali che frequentiamo, nelle sale d’attesa di tanti studi medici, nelle scuole e nei luoghi dove, molto spesso, giovani e anziani, anche meno gravi di Mateusz, pagano per subire angherie.
Bella anche la fotografia, sempre lucente e capace di cadenzare nel giusto modo i vari capitoli in cui è suddiviso il film, che corrispondono alle varie fasi di crescita di Mateusz.
Il film è dedicato alla scomparsa Ewa Pieta, autrice di un primo documentario su Przemek, Like a Butterfly.
Io sono Mateusz è un film che ha per tema la dignità, il senso di una vita degna di essere vissuta da tutti, nella possibilità di ricevere in dono, come Mateusz, in occasione del suo venticinquesimo compleanno, la presenza di chi ti aiuta a riportarti indietro nel tempo, per cominciare ad andare avanti. Avendo l’unico strumento utile per farti andare, l’amore.
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