Regia di Maciej Pieprzyca vedi scheda film
Ewa Pieta fu una giornalista polacca che, nel 2004, realizzò Like a Butterfly, documentario dedicato al giovane disabile Przemek, al quale i medici diagnosticarono erroneamente la paralisi cerebrale. Ma quel cervello viveva e ragionava, pensava e muoveva sentimenti mai compresi dalla società, immersa nell’eccesso stridente di un tempo in cui all’incapacità di comunicare è pavlovianamente associata quella di capire. A Ewa Pieta, morta nel 2006, è dedicato questo dramma lieve, il cui registro sfiora ripetutamente l’obiettività documentaria, salvo prendere da essa le distanze in libere ricostruzioni narrative (Mateusz si toglie l’etichetta di vegetale a 35 anni, Przemek lo aveva fatto a 16) e in concessioni retoriche atte a tirare per i capelli l’emozione, trascinandola su schermo in ralenti al pianoforte. La struttura biografica è tripartita e dal 1989 del focolare domestico, di un fugace amore, della protezione fraterna e materna, salta dapprima al 1998 - con la ribellione all’istituto, la scoperta di una sessualità da consumare con gli occhi e l’ipocrisia di Magda, che si occupa di Mateusz per liberarsi la coscienza -, quindi al 2008, anno del riconoscimento medico e dell’incontro con la giornalista Ewa. Racconto di una formazione diversamente abile, Io sono Mateusz offre spalla al sentimento e all’introspezione con un percorso in voce off che, per una volta, è funzionale al discorso e con un’interpretazione del giovane Ogrodnik da lacrime agli occhi.
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