Regia di Mel Stuart vedi scheda film
Le peripezie di una dozzina di yankee in un viaggio organizzato in giro per l’Europa, dalla Londra in preda alla rivoluzione anarchica dei ventenni alla soleggiata ed eterna Roma, attraverso l’Olanda, con i suoi sfarzosi mercati del formaggio, e le Alpi svizzere. L’intrattenimento di questo “If It's Tuesday, This Must Be Belgium” è percepibile, principalmente, nella chimica in fin dei conti sollazzevole degli attori; caratteristi poco noti, se non dimenticati, del piccolo e grande schermo, quali la bella Suzanne Pleshette (Samantha Perkins), il versatile britannico Ian McShane (il marpione Charlie Cartwright, che fa da Cicerone dell’agenzia dei tour nel vecchio continente) e Murray Hamilton (Fred Ferguson, ovvero il classico tradizionalista repubblicano di mezza età, scosso per l'esuberanza preoccupante della figlia teenager dall'indole hippie). La componente comica non è nulla per cui andare in visibilio, ma non si può sicuramente definire sgradevole. Gli intrecci più divertenti riguardano il “cambio di rotta” della sventurata Irma Blakely (Reva Rose), distrattamente piombata in un autobus di asiatici, e i tentativi infruttuosi del marito Harve (Norman Fell) di ritrovarla, a causa della medesima imbranataggine. Non male neanche i frammenti dove Marty Ingels (Bert Greenfield) fotografa le avvenenti turiste aggiungendo alle “prove” dei trofei delle altisonanti ed enfatiche didascalie nelle lettere indirizzate agli amici. Deludenti le parti ambientate nella penisola, ove avranno luogo degli episodi rocamboleschi, direi... inverosimili: la visita familiare dell’italo-americano Sandy Baron (John Marino), tenuto “alle strette” da un capo famiglia pennellato in maniera alquanto idiota, o l’incidente automobilistico della Pleshette, con tanto di acceso, clownesco scontro verbale con la consorte del tipo cui è andata a cozzare. Abbastanza noiosa la relazione anarchica attinente alla diciannovenne Hilarie Thompson (Shelly Ferguson) e il relativo moroso segreto, mentre è gestita discretamente la traccia sentimentale che lega la Perkins a Cartwright: priva di stucchevolezze d’accatto, recitata con una naturalezza persuasiva, e ritmata col giusto brio, anche se il balletto “alla Gene Kelly” appare completamente superfluo ai fini della breve storia. L’immagine adottata nella rappresentazione delle rinomate località, invece, è, prevedibilmente, “da cartolina”, benché elegante e mai in saturazione di colori e toni. Vi sono altresì dei camei di lusso; alcuni simpatici (De Sica nei panni di un irriverente ciabattino, Virna Lisi in procinto di dare il bacio d’addio al parente d’oltreoceano quando ci si avvicina all’epilogo dell’itinerario), altri irrilevanti. Tirando le somme si tratta di un prodotto datato, e tuttavia sufficientemente amèno nella struttura. Comunque dall’autore di “Willy Wonka & the Chocolate Factory” mi aspettavo di più.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta