Regia di Dome Karukoski vedi scheda film
Cinema e impegno sociale; cinema ed intolleranza etnica; cinema nella vita socio culturale dello strato più basso della scala gerarchica della società civile.
Il film del finlandese Dome Karukoski è tutto ciò nella sua tormentata vicenda che segna il percorso, tutto in salita, per la redenzione di un uomo allo sbandato di nome Teppo, disoccupato e simpatizzante neonazista, al bivio per una svolta e forse una maturazione quando incontra l'amore in una bella e bionda ragazza madre, Sari, che fa la barista e rimane attratta dalla prestante fisionomia dell'uomo, un po' meno dagli inquietanti tatuaggi che lo stesso porta disegnati ovunque sul corpo.
Un particolare sufficiente per lasciarlo immediatamente, dato che la ragazza nasconde un proprio particolare personale che il protagonista ancora non conosce: è madre di un ragazzino di dieci anni di razza nera, essendo il frutto dell'amore, ormai finito, con un immigrato di origini africane.
Tuttavia, sarà l'amore, sarà la volontà di lasciarsi alle spalle un passato incerto e violento, ma Teppo apprende ed assimila la notizia con un atteggiamento di volonterosa collaborazione, e quando conosce il timido ragazzino si convince a volerne comunque diventare il padre di vita.
Molto più difficile sarà nascondere quel particolare alla cerchia volgare e gretta, oltre che guidata da ideologie xenofobe più manifeste; ad aggravare la situazione contribuirà l'arrivo nella casa di Sari, dove l'uomo ha pure trovato alloggio e vitto, del fratello di Teppo, militare congedato per problemi caratteriali e xenofobo irrisoluto ben più del fratello.
Una vicenda che sfiora più volte la tragedia e si consuma sui binari già un po' eccessivamente calpestati e percorsi, del melò social-popolare.
Un film che si avvale di due interessanti e già piuttosto noti interpreti scandinavi, l'attore e regista Peter Franzen, affascinante e animalesco quanto basta per farsi notare, apprezzare ma anche detestare, e la bionda, biondissima Laura Birn, bella quasi quanto Kim Basinger ai tempi di “Mai dire mai”, non brilla mai di luce propria, ma ha almeno il merito di lasciarsi guardare con un certo interesse grazie ad una conduzione corretta, non certo originale, e ad un racconto che procede un po' scontato ma con una certa fluidità.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta