Regia di Benedikt Erlingsson vedi scheda film
Dell’animalità dell’uomo contemporaneo. Cesare del reboot di Il pianeta delle scimmie è l’unico verosimile eroe scespiriano del cinema d’oggi, un orso di peluche di nome Ted è il miglior amico degli eterni Peter Pan, in Frankenweenie, 7 psicopatici e Wrong la ricerca di un cane scomparso muove gli eventi e smuove il quotidiano, in Jupiter - Il destino dell’universo l’amore è interspecie, in Grecia l’umanità della crisi è animale per tremore (Attenberg) o per timore (Dogtooth) e gli esempi non finiscono qui. In questo panorama in cui l’uomo è disumano per degrado e zoofilo per solitudine esistenziale, Of Horses and Men accosta le figure del titolo nel gelo e sotto il cielo d’Islanda, terra in cui la cattura e l’allevamento degli equini è base per il sussistere economico dell’uomo: comincia come Vacas, bel film di Julio Médem, con l’uomo riflesso nella pupilla d’animale, perché come quello Of Horses and Men cerca di vedere gli uomini negli occhi di cavallo e viceversa, guardarli fare sesso e morire, perché la vita, per entrambi, è eros, thanatos, e punto. Puledri che s’accoppiano in vece dei padroni, bestie che si sacrificano per l’uomo, uomini che muoiono perché non comprendono il linguaggio, e così via: una ronde d’umorismo surreale, visione del mondo disincantata e insieme amorevole, che associa al montaggio il destino delle specie (umana/animale), ma sa non cadere nella facile misantropia. E cogliere, nel materialismo radicale, un tenero, tenerissimo umanesimo.
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