Regia di Benoît Jacquot vedi scheda film
Il nostro cuore è malato.
Fatica, per quanto nel profondo non aspetti altro, a confidare nel grande amore, quello che di solito, secondo il racconto di romanzi scritti e filmati, nasce dal colpo di fulmine, sempre più raro da incontrare perché, oggi, a crederci son rimasti davvero in pochi.
E così, capita che al verificarsi di questa eventualità, che paragoniamo ad una eccezionale congiunzione astrale data la rarità con cui si presenta, il nostro cuore, come investito da uno tsunami emozionale, inaspettato ed ingestibile, finisce per giocarci dei brutti scherzi, va in cortocircuito, ferma il suo inarrestabile battito, a volte per sempre, a volte per un momento che può sembrare eterno.
L’amore che sconvolge, che travolge i sensi tutti è materiale esplosivo per i nostri cuori deboli e disabituati, per le nostre vite tranquille, programmate ed addomesticate, e perciò conviene starsene buoni, fare i bravi, dimenticarci di inseguire ciò che riteniamo unico e straordinario perché figlio dell’imprevisto, di una circostanza a monte sfortunata che finisce col rivelarsi un’occasione cruciale per la nostra esistenza.
Magari banale nelle dinamiche ma assolutamente rara, sicuramente irripetibile nella sostanza.
Ammaliante, seducente, che vive di spontaneità, d’istinto naturale, che crea un legame fortissimo e ineffabile, nonostante sia durato il tempo di una notte e la meraviglia di un’alba dai colori del fuoco.
E quindi, affinché non ci accada nulla che il nostro debole cuore non sia in grado di sostenere, è bene fare vita morigerata, accontentarsi dell’ordinario, di quello che ci passa la nostra quotidianeità, farci bastare le conoscenze fatte nell’ambito del lavoro e negli ambienti che comunemente frequentiamo.
Realtà, in fondo, a misura d’uomo. Di certo più rassicurante, senz’altro più facile da afferrare e trattenere.
Che fa meno paura. E che, forse, se dovesse finire, procurerà meno dolore.
Toccare il tetto della felicità.
E decidere di mandare all’aria tutta la propria insoddisfacente vuota esistenza è questione di un secondo.
Per quanto scettici, cinici e sempre meno sognatori, ci scopriamo pronti a saltare nel vuoto, ad aggrapparci alla possibilità, qualora bussasse alla nostra porta, di cullarci e mai più svegliarci dal sogno d’amore che miracolosamente ha scelto noi come attori principali.
Inseguire e alimentare questa illusione, e nel tempo di un secondo ripiombare con i piedi per terra, per sprofondare nel baratro dell’amara disillusione, è la più terribile, tra le più terribili sofferenze che sperimentiamo da esseri umani.
E allora può succedere che ci affezioniamo ad un oggetto o a un indumento che quel giorno fortunato avevamo con noi, finendo per non liberarcene più.
Anzi, saranno questi a rendere vivo il ricordo di quegli istanti sublimi, saranno questi a parlare per noi nella confusione di volti e corpi di una festa o negli ossequiosi rituali di un pranzo in famiglia o mentre fumiamo in solitudine una sigaretta.
Saranno questi a dire più di mille parole, e lo stesso avverrà appena gli sguardi s’incroceranno, a confermare che il grande amore arde di una fiamma inestinguibile, ancora più intensa del primo incontro. E più pericolosa.
Perché la matematica dei sentimenti non è una scienza esatta.
Più che una scienza, è un tuffo nell’imponderabile.
Che suona di una musica grave e dolente, a voler tracciare la reale mappatura della tempesta interiore nascosta sotto la calma apparente di stati d’animo di levigata e serena imperturbabilità.
Palpiti del cuore, euforia mista a panico, attesa stordente, angoscia soffocante.
E accenti di feroce predestinazione.
A chi non piacerebbe che le porte scorrevoli del proprio destino si aprissero e si richiudessero al momento giusto?
Affinché la tragedia (le condizioni che l’hanno resa tale) non faccia la sua comparsa in scena, inesorabile e letale come il più potente dei veleni.
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