Regia di Kevin Macdonald vedi scheda film
Con Black sea il regista scozzese Kevin Macdonald conferma la sua ecletticità, imbastendo un thriller, come accaduto in alcune delle sue opere più fortunate (L’ultimo re di Scozia, State of play), che si avvale di presupposti in grado di ampliare il raggio della percezione oltre la pura tensione.
Quest’ultima è garantita mediante lo sfruttamento della claustrofobia indotta da un sottomarino fatiscente e da una missione che rievoca trascorsi mai dimenticati, anche se le qualità che colgono maggiormente di sorpresa risiedono nell’eterogenea composizione della ciurma, dettagliata facendo ricorso a un quadro sociale preoccupante.
Dopo tanti anni di onorato servizio come capitano di sommergibili da recupero, Robinson (Jude Law) viene licenziato, vedendo disfarsi in mille pezzi quel poco della sua vita che ancora funziona.
L’occasione per rifarsi arriva quando scopre l’esistenza di un sottomarino tedesco affondato durante la Seconda Guerra Mondiale, adagiato sul fondale Mar Nero e potenzialmente ricolmo d’oro. In poche ore costituisce un equipaggio di fortuna pescando tra russi e britannici per coprire le mansioni necessarie, recupera un sottomarino fuori servizio e può dare il via alla spedizione.
Presto scoprirà che gli ostacoli non sono semplicemente legati alle avversità esterne: quando si parla di oro e di una divisione in parti uguali tra reietti, c’è chi è pronto a eliminare un compagno per incrementare la sua fetta di torta.
Premiato al Courmayeur Noir in festival 2014 con il riconoscimento principale, Black sea getta delle fondamenta solide, prendendosi il tempo necessario per rendere chiare più motivazioni possibili, mascherando comunque qualche carta da giocarsi più avanti. Fin da subito è lampante la critica mossa a una società che mette gli uomini con le spalle al muro alla prima occasione utile, seguendo uno sviluppo economico che tritura chiunque abbia una mansione eliminabile, così come la sopraggiunta povertà possa spingere al suicidio anche solo per garantire al resto della propria famiglia la somma inserita all’interno di una polizza assicurativa
Oltretutto, in un contesto che assegna alla vita un valore prossimo allo zero, basta poco per instillare avidità e lo stesso sottomarino pronto per la demolizione («questo rottame andrà giù a picco», «altrimenti non sarebbe un sottomarino») è allegoria di tutti quegli uomini rottamati dal progresso.
Stabilita la situazione, l’avventura non può che vedere incrementate insidie e incognite, con scontri tra fazioni e singoli interessi, cui nemmeno la mediazione più lucida può mettere una pezza, e le speranze sono richiamate all’ordine da una realtà che concede solo illusioni, all’interno di quella che si trasforma in una pentola a pressione.
Nella degenerazione più incontrollabile, quando ogni errore è pagato a caro prezzo, la tensione è palpabile e trasversale, anche se difetta in fatto di picchi assoluti, mentre l’itinerario è robusto ma i vari colpi di scena si suddividono principalmente tra maldestri, poco appariscenti e preventivabili.
Trattasi di un limite castrante che, per esempio, si rispecchia nel personaggio di Fraser: Ben Mendelsohn è una canaglia impazzita d’indubbia efficacia – basta citare Animal Kingdom, Come un tuono e Trespass per approcciare la sua assortita galleria di negatività - cui non daresti nemmeno cinquecento lire da tenere da parte, ma ciò implica il riversamento di un’anticipata, e privilegiata, attenzione nei suoi confronti, mentre andando sul protagonista, Jude Law è coriaceo nel ricoprire l’ardua figura del capitano che non vuole accantonare il suo sogno, ma neanche i suoi ricordi, sorretto da un background multi direzionale, stimolante per qualunque interprete accetti di mettersi alla prova.
Ancora, vale la pena aggiungere che il finale sbanda diventando l’unica occasione a porre in atto una soluzione realmente traballante, pur volendo semplicemente rappresentare un’opportunità con vista sul futuro, per una pellicola che non si accontenta di eseguire il compito di scolastica memoria, mostrando una fulgida dimestichezza nel riprendere i movimenti all’interno di spazi forzatamente angusti, difettando nei momenti topici e sentendo il bisogno di non essere nero fino in fondo.
Coinvolgente, a tratti quasi famelico, ma con alcune transizioni di promiscua produttività.
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