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Fish & Cat

Regia di Shahram Mokri vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Fish & Cat

di alan smithee
10 stelle

FESTIVAL DI VENEZIA 2013 - ORIZZONTI
Un horror iraniano proprio ci mancava: non solo al festival, proprio nel panorama cinematografico mondiale, dato che a memoria non trovo esempi che lo precedano (mi smentisca qualcuno se sbaglio). Un horror per modo di dire, più per atmosfere abilmente costruite che per il sangue versato (praticamente nullo quello mostrato, quanto piuttosto al massimo raccontato). E dunque Fish & Cat è la vera sorpresa del festival (posto che il film di Tsai Ming Liang è a mio giudizio il capolavoro assoluto, ma non certo una sorpresa, considerata la potenza dell'autore nelle sue opere precedenti). Un lungo ininterrotto pianosequenza, riuscito e non forzato ed effettato come nel caso di Amos Gitai in Ana Arabia, documenta una lunga giornata che coinvolge un bel numero di persone nell'arco di un circoscritto bosco spoglio per la staagione autunnale avanzata, dove si deve tenere un raduno di appassionati di aquiloni. Si inizia a "tallonare" due loschi individui titolari di un ristorante fatiscente mentre vagano nel bosco alla ricerca di carne da cucinare, portandosi con sé un sacco grondante di sangue contenente carne deteriorata e maleodorante e una tanica di combustibile da riempire. A poco a poco i due bizzarri ed inquietanti individui incrociano ragazzi giunti in loco a montare le tende e genitori che li accompagnano: fanno loro domande, cercano di portarli in un luogo appartato, tramano qualcosa per isolarli dal gruppo, come lupi alle prese con un gregge. Intanto al dialogo si alterna l'intervento invadente di un io narrante che varia sempre a seconda di chi la camera sta inquadrando: una voce fuori campo che spiega e contribuisce a creare disagio ed angoscia, coadiuvata efficacemente da rumori di fondo classici dell'horror, come coltelli che si affilano uno contro l'altro e scricchiolii sinistri. Ad un certo punto mentre la macchina passa in staffetta un personaggio dietro l'altro, ecco che spuntano in sottofondo, veloci e lontani, due figure quasi aliene di gemelli identici in tuta arancione, uno senza braccio sinistro, l'altro senza il destro: davvero inquietanti. A quel punto ci accorgiamo altresì che, come in un paradosso temporale (ricordate "Prima dell'alba" di Manchewski, Leone d'oro veneziano tanti anni orsono?), ci troviamo qualche istante prima rispetto al momento in cui ci eravamo lasciati poco prima e i dialoghi tra le persone in sottofondo si ripetono ogni volta. Meglio non rivelare di più perché il film, davvero lambiccato ma sorprendente, potrebbe davvero costituire un nuovo modo, più cerebrale e meno "fisico" di intendere l'horror. Un "Cabin fever" dell'est che sostituisce il potere inquietante ed enigmatico della parola al massacro fisico, anche nel fantastico finale/confessione, tutto descritto, anzi confessato con arrendevole rassegnazione dalla vittima ormai designata. Anche questo gioiello, come per Heimat ed altri casi inspiegabili, chissà perché confinato nelle sezioni collaterali a discapito del concorso, affollato di opere magari non necessariamente brutte, ma certamente fuori posto in quella sede.

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