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Naftalina

Regia di Ricky Caruso vedi scheda film

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La recensione su Naftalina

di moonlightrosso
2 stelle

Un film da...naftalina!

Nell'asfittico panorama filmico italiota fatto di cinepanettoni, di passerelle di cabarettisti e comici d'invenzione televisiva (irresistibili per i primi due minuti ma assolutamente letali dal terzo minuto in avanti), di films pseudo-autoriali piagnoni e buonisti, improntati al "politically correct" o all'impegno sociale a tutto tondo, a tutti i costi e un tanto al chilo, viene voglia di assaporare un po' di quel cinema alternativo proposto da volonterose giovani leve.

Questa produzione underground che pare ispirata in maniera diretta alla saga di "Non Aprite Quella Porta", vorrebbe immergerci in un inferno familiare formato da un serial killer, che uccide usando coltelli da macellaio e poi fotografa le sue vittime; un fratello immobilizzato in un letto di ospedale al quale le infermiere ricordano i suoi trascorsi pedofili; un altro fratello autistico che veste abiti muliebri, totalmente sottomesso e servile verso una madre dispotica e autocratica; una sorella ritardata che vive in uno scantinato nutrendosi dei suoi escrementi e che ama trastullarsi con un qualcosa di simile a un feto dalla stessa abortito (sic!). Completa questo "gruppo di famiglia in un interno" un padre catatonico dalla faccia bruciata o coperta da un'assurda maschera (chi può mai dirlo?). Il tutto in una scenografia da naftalina, da cui il titolo del film, fatta di arredi consunti e fuori dal tempo, di carta da parati della nonna, di stoviglie demodè.

Si tratta di un "no budget movie" realizzato "direct to video" con gli stessi attori, credo tutti dilettanti, che svolgono anche le mansioni più disparate all'interno del film: dal montaggio alla fotografia, dalle musiche agli effetti speciali, dalla scenografia alla postproduzione e persino all'assistenza legale.

Unica professionista che cerca di rinvigorire un panorama che vedremo esser men che deprimente, è la bernese Monika Zanchi. Colei che fu "Ragazza Coccodè" nello sgangherato varietà arboriano "Indietro Tutta", ci offre un'icona abbastanza efficace di madre teutonica elegantemente algida e austera. Quando però è chiamata a esibire le sue capacità attoriali ci fa vedere ciò che sa fare: poco. Di questo poco non deve certo ringraziare l'insipiente e inconsistente regia del tal Caruso, qui alla sua prima e spero ultima opera, quanto piuttosto ciò che la stessa si ricorda nell'aver frequentato il cinema erotico dei gloriosi settanta, onusto anche delle sue nudità.

Per il resto, l'epifania di mugugni, grugniti, polluzioni e masturbazioni dei vari personaggi non sono certo elemento sufficiente a esprimere quel disagio e quell'emarginazione sociale che il regista vorrebbe rappresentare; ciò comunque sempre meglio del figlio serial killer, tra i pochi attori parlanti unitamente alla Zanchi, che pare uscito da una telenovela di "Mai dire TV" di gialappiana memoria.

Poste queste premesse, si riesce a capire come mai all'anteprima nazionale molti spettatori abbiano gettato la spugna a metà proiezione, come ha fatto notare un collega recensore ed al sentimento di orrore, che si sarebbe voluto suscitare, si sia ben presto sostituito il riso per non dire il più crasso sghignazzo.

Rimane dunque uno sterile esercizio di stile da parte di presuntuosi dilettanti allo sbaraglio dove noia e sbadigli causati da interminabili e maldestri piani-sequenza (se non sei Orson Welles lascia perdere!) fanno letteralmente da padroni in un contesto che non riesce a centrare nessuno degli obiettivi che l'assai poco talentuoso "metteur en scène" si era prefissato di raggiungere.

Se la scelta di rappresentare con taglio quasi documentaristico l'abiezione umana avrebbe potuto anche essere astrattamente interessante, ben altre capacità e competenze sarebbero state necessarie per scioccare, disgustare o impressionare lo spettatore.

A rendere l'opera ulteriormente scialba e quasi completamente priva di interesse è anche l'assenza di quei momenti deliziosamente trash propri di certe opere dei cineasti della vecchia guardia che si è voluto inopportunamente omaggiare nei titoli di coda. I menzionati Renato Polselli, Luigi Batzella, da tempo deceduti e Andrea Bianchi, la cui dipartita sarebbe avvenuta da lì a poco, era gente che veniva da tanta gavetta e che tra mille difficoltà e budgets risicatissimi, sapeva comunque intrattenere il pubblico, anche muovendosi tra copioni squinternati o raccontando storie strampalate e campate per aria.

Con la scomparsa loro e di tanti altri maestri del cinema popolare, più o meno noti, più o meno acclamati, o semplicemente più o meno fortunati, è scomparso per sempre quel sano artigianato cinematografico che con pochi soldi ma con tanta fantasia e professionalità aveva saputo appassionare intere generazioni di spettatori (me compreso), senza cedere alle logiche televisive, perchè non c'erano o non erano rilevanti, o peggio ancora alle lusinghe dei finanziamenti di regime, perchè non ce n'era bisogno.

Oggigiorno per chi voglia uscire dai mainstreams, dai blockbusters, o peggio ancora dagli inutili e noiosissimi films morettiani, mucciniani, sorrentiniani o virziani, trova solo prodotti come questo, invenduti, invendibili e invedibili.

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