Regia di Paolo Genovese vedi scheda film
C’è un film del 1957, del signor Mario Monicelli, che si intitola “Padri e figli”. L’anno seguente il padre della commedia all’italiana avrebbe fatto “I soliti ignoti”, poi “La grande guerra”...e via via tutti gli altri titoli che hanno contribuito a confermare la grandezza di questo regista. “Padri e figli” è un “piccolo” film se paragonato ad altri titoli di Monicelli, ma che io amo in particolar modo: 5 storie di 5 famiglie si intrecciano l’una con l’altra, mettendo in evidenza il rapporto genitoriale che alla fine degli anni 50 già mostrava segni di crisi tra le vecchie e le nuove generazioni. Un padre vedovo (Vittorio De Sica) che non comprende la figlia adolescente e si ostina a vederla come una bambina; un padre (Memmo Carotenuto) di 5 figli che cerca di barcamenarsi con una epidemia di orecchioni in famiglia; un uomo senza figli (Marcello Mastroianni) che grazie alla visita di un nipotino comprende che si può diventare padre anche adottando; un giovane marito (Franco Interlenghi) che è alle prese con la moglie in attesa al nono mese del primogenito; infine un padre autoritario (Ruggero Marchi) che non riesce ad educare un figlio troppo viziato e bighellone. Cosa rende così piacevole questo film, e tutta una serie di commedie di quel decennio, che senza troppe pretese raccontavano un frammento di quell’epoca? Forse proprio l’onestà che gli autori (in questo caso Age & Scarpelli, insieme a Monicelli) ci mettevano nel mostrare una realtà senza filtri, se non quello dell’ironia e del sorriso (a volte amaro), che hanno reso immortali questi film, rendendoli quasi una sorta di documento storico per ricordarci in qualche caso chi eravamo e la realtà storica di quel preciso momento che il film va a raccontare, così che anche a distanza di oltre sessant’anni, lo spettatore riesce a riconoscersi in qualche maniera e ad entrare in empatia con i personaggi e con la storia.
Perché questa lunga premessa? per recensire un altro film di millenni (sì, sembrano passati millenni da “Padri e figli”) più giovane? perché ieri sera, per puro caso ho visto “Tutta colpa di Freud”, un film del 2014 da cui quest’anno è stata tratta anche una serie televisiva (ideata sempre dall’autore e regista del film Paolo Genovese) che pare abbia avuto anche un discreto successo, e mi sono resa conto di quale deriva abbia preso la commedia italiana.
Quello che mi ha particolarmente deluso di questo film è la lontananza dalla realtà. Una realtà patinata, fatta di case improbabili, lavori improbabili, rapporti sociali improbabili, dialoghi improbabili, che sembrano usciti dai giornaletti dei fotoromanzi. Sulla carta la storia ha anche un suo perché: un padre separato e psicologo, cerca di instaurare con le sue 3 figlie un rapporto di complicità e amicale piuttosto che genitoriale, innescando così una serie di situazioni che (sempre sulla carta) dovrebbero portare le figlie a trovare la loro strada emozionale e sentimentale. Peccato che quello che dovrebbe trasformare la storia in una commedia non funziona: mancano le situazioni simpatiche (nonostante Alessandro Gassman nella parte di un “fidanzato-ma sposato” della figlia più giovane, e Anna Maglietta nel ruolo di una delle 3 figlie, si sforzassero non poco con smorfie e altro a suscitare un senso di ilarità), mancano i dialoghi che risultano quasi didascalici e comunque incomprensibili per lo più per via della pessima dizione della maggior parte degli attori presenti (questo è purtroppo un grave problema che attanaglia il nostro cinema da diversi anni), manca l’empatia nei confronti dei personaggi che appaiono ritagliati da qualche figurina di carta, troppo irreali nella loro finta realtà che esiste molto probabilmente solo nella fantasia di chi ci vuole raccontare questa storia, che alla fine risulta senza anima e molto (ma molto) superficiale. Alla fine del film si rimane senza nessun tipo di emozione: non si è riso, non si è sorriso, tanto meno riflettuto, non ci si è nemmeno commossi…niente, si è solo visto tutta una serie di bellissimi arredamenti, seguito a tratti dei dialoghi che comunque non erano basilari per capire il senso della storia, nient’altro. Mi auguro che con la serie televisiva (che non ho visto) si sia potuto entrare più nel merito dei personaggi e delle loro psicologie che sono sicura se più accurate avrebbero reso i personaggi più empatici.
Alla fine l’unica riflessione che mi è venuta di fare dopo aver visto questo film è (oltre a farmi venire in mente il film di Mario Monicelli e rimpiangerlo moltissimo) che anche Memmo Carotenuto, come Marco Giallini (il padre protagonista del film) aveva una voce molto roca che lo aveva contraddistinto nelle tante commedie che aveva fatto, ma che contrariamente a Giallini, risulta molto più chiaro nella dizione, che nonostante il fantastico romanesco, rimaneva cristallina.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta