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Scommessa con la morte

Regia di Buddy Van Horn vedi scheda film

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La recensione su Scommessa con la morte

di scapigliato
6 stelle

“I pareri sono come i coglioni: ognuno ha i suoi”, parola di Harry Callahan. Ed è così purtroppo che va visto questo quinto episodio sul poliziotto meno ortodosso dell’immaginario poliziesco. Obiettivamente il film non ha nulla per cui farsi ricordare, se non per la giustamente celebre sequenza della macchinina telecomandata e per la granitica presenza di Clint Eastwood. Alla regia quel Buddy Van Horn, controfigura storica del vecchio Clint, che l’ha diretto anche in “Any Wich Way You Can” e sempre con un certo mestiere (forse c’è in entrambi i casi l’occhio di Clint), alle musiche sempre Lalo Schifrin, il cui motivo ci fa girare sempre la testa, ma per il resto nulla di nuovo. Infatti, sarà la generale asfissia edonista e commerciale degli anni ’80, ma anche questo Callahan 5 sente il passo col tempo, e invece di trovare nuove strade con cui proporsi al pubblico, segue fedelmente lo schema degli ultimi episodi e giustappone senza troppa eleganza narrativa sparatorie ed inseguimenti. I delitti che sfruttano il cotê horrorifico sono nulla di più patetico, tipico degli ’80, e l’approfondimento dialettico è superficiale, non suggerisce nulla e resta appiccicato all’impalcatura scarna del film. La riflessione che coinvolgeva i film dell’orrore e la violenza, e che poteva essere metadiscorsiva, è invece posticcia, patetica, già sentita dai banchi repubblicani che non sanno più come giustificare l’escalation violenta tra i giovani, e non vogliono interrogarsi sulla libera circolazione delle armi e sulla pena di morte. Wes Craven con “Scream” ha fatto molto meglio, e pur giudicando i film dell’orrore teneva ben presente che lui stesso li faceva e che lo stava dicendo attraverso un film dell’orrore. In “The Dead Pool” succede inconsapevolmente la stessa cosa. La serie di Dirty Harry e tanti altri film di Eastwood non sono certo privi di violenze, sangue e crudeltà. Certo forse lì è tutto più edulcorato che nei fim horror, per definizione pornografici, ma è solo un discorso di significanti e non di significato. Finisce che mentre si condanna il genere horror assistiamo a sparatorie gratuite, fiotti di sangue denso, macchine che esplodono e uccidono. Un capitolo che fa acqua da tutte le parti, e che concede un motivo in più per additarlo come cialtrone quando Eastwood, sul finale, esce dalla nebbiolina del porto impugnando un grosso arpione meccanico con cui trafigge a distanza e poi appende al muro, il killer psicopatico. Io credo che proprio in questo momento Callahan stia parodiando Harry la Carogna, e uccidendo il killer nello stesso modo in cui si sarebbe ucciso nel film horror che si stava girando, azzera le distanze, rimette la palla al centro ed ogni singola invettiva contro la violenza di certi film viene a mancare. Infatti l’assassino uccideva le sue vittime come in alcune famose scene dei film del regista che idolatrava maniacalmente, Liam Neeson. L’equazione è pronta. In ultimo, da notare la presenza di un giovane di bell’aspetto che risponde al nome di James Carrey e che dà una gran prova di sé anche se per soli pochi minuti. Un giorno lo conosceremo come Jim Carrey.
Una serie, quella di Dirty Harry, che ha saputo fotografare e rappresentare al meglio non tanto la società americana, bensì il modo di rappresentarla. Via via che la serie procede, l’esempio autoriale del primo episodio di Don Siegel, continuato bene poi da Ted Post in Callahan 2, lascia il passo ad un’ammuchiata di pistolettate e risoluzioni di forza temprate solo dalla seconda parte di “Coraggio, Fatti Ammazzare” in cui il regista Eastwood riporta tutto su un piano riflessivo e d’autore. Per arrivare al quinto episodio dove continua l’insensata explotation di violenza accompagnata da inserti tematici, come il film horror, la stampa morbosa e la degenerazione dei giovani a causa di sesso, droga e rock’n roll, fuori luogo e non trattati con l’intelligenza che si pretenderebbe da una produzione che coinvolge il più grande regista americano di oggi e di ieri.

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