Regia di Mike Flanagan vedi scheda film
Oculus è il sequel di ogni film horror. Si impone come "evento successivo", conseguenza a lungo termine di una solita storiella horror avvenuta per destabilizzare e neutralizzare una famiglia con a carico due bambini impegnati a sopravvivere. Quei bambini, cresciuti, si ritrovano a combattere con quella stessa forza demoniaca, insidiosa e letale, che aveva decimato e distrutto le vite dei loro genitori. Un male che gioca con la loro percezione, e, anche, come è ovvio, con la nostra percezione di spettatori. E' tutta più limpida e "concreta" di quanto ci si immagini, la confusione nella parte finale del film, che alterna sogno e realtà in maniera subitanea e eccezionalmente libera; è una confusione sperata ma sempre tristemente addomesticata, non arriva davvero a incutere il timore della confusione. Il carattere però interessante è dato dal chiedersi da cosa, i protagonisti, stiano scappando. Nella strenua lotta fra razionalità e irrazionalità, in cui sembra avere la meglio la seconda, benché non si possa mai negare che dietro di essa si celi una rigorosa logica intenzionale, la sconfitta è comunque e in ogni caso la razionalità: telecamere, iPhone e computer, tutti succubi della malignità di uno specchio che in chiunque si trovi nelle vicinanze stimola cattiveria e malsanità. Il padre dei due protagonisti, vissuto a lungo accanto allo specchio, finisce per provare a eliminare tutta la sua famiglia. Allo stesso modo successe a coloro che precedentemente ebbero in possesso l'oggetto, fin dal suo primo possessore, senza che però il film - fortunatamente - spieghi la ragione profonda di simile Male. L'obbiettivo però del promettente regista Mike Flanagan non è un'emulazione di Mirrors o, ancora meglio, di Into the mirror, che riflettevano in maniera discontinua e pedante su come lo specchio potesse creare realtà alternative. Anzi, si potrebbe dire che emulazione in Oculus non ce n'è proprio, e il fatto che il film mantenga una sua autonomia originale non è poco. Ma, si diceva, il vero obbiettivo di Flanagan è vedere i protagonisti in fuga da se stessi. Lo specchio non genere realtà altre, ma spinge alla realtà della mente, dell'identità, tanto che i protagonisti alle prese con la loro memoria e a tratti anche con i loro doppi, si ritrovano a fuggire (e, allo stesso tempo, ad indagare su) il loro passato tormentato e infelice, che pure generò traumi e disperazione. Il momento in cui entrambi decidono, l'una più convinta dell'altro, di riprendere in mano la situazione e, per estensione, la loro vita, tutti e due si ritrovano invischiati in questa lotta contro i fantasmi del loro passato, che tornano a bussare alla porta e a giocare con loro. La confusione percettiva che lo specchio genera nei personaggi spinge questi ultimi ad un involontario masochismo, riflesso (a sua volta) di una lotta che entrambi elaborano proprio nei loro confronti, fra di loro, nel loro cervello e nei loro sensi. Non c'è niente di reale, al di fuori delle loro percezioni: la grande frustrazione sembra essere generata proprio da questo, dalla presenza costante di una realtà oggettiva che loro perdono per strada. Il tentativo di ricondursi a quella realtà è destinato a fallire, perché entrambi si perdono nel loro stesso labirinto interiore (labirinto abbastanza logico, pure, e questo è sia un difetto che un pregio, strano a dirsi). Cosicché, verso la fine, saranno involontariamente l'uno contro l'altra. Come se il male, insito in ognuno, colpisse "dall'interno", e non da forme a priori che tiranneggiano dall'esterno. Il male è proprio nei nostri occhi, e non davanti ad essi. Ed è così che una famiglia non riceve influssi esteriori, ma trova, a partire da uno specchio "dentro il nido familiare" (pretesto per parlare di temi ultimi come famiglia e affetti spezzati), l'origine della morte al suo stesso interno, fino a privare tutti di fiducia l'uno nell'altro. Nonostante sia lo specchio a decidere, tutto avviene secondo la volontà dei protagonisti, di cui viene messa in pericolo la sensibilità stessa: è la loro forza interiore che deve lottare contro loro stessi, è la loro mente a dover capire cosa è reale e cosa non lo è. Per cui, in questo discreto horror da camera (che raramente, ma efficacemente, spaventa), i personaggi protagonisti sono attivi, non passiva carne da macello, ma esseri umani pulsanti, incarnati forse, però, da attori non all'altezza. Comunque solo per gli appassionati.
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