Regia di Mike Flanagan vedi scheda film
La memoria è uno specchio incrinato.
Deforma, distorce, amplifica, riproduce all’infinito ciò che esso riflette.
Il ricordo.
Capita a volte che il ricordo resti intatto, cristallino, a dispetto del tempo trascorso.
Come marchiato a fuoco.
E allora ci si può specchiare dentro e ritrovarsi. Tutti interi.
Senza che frammenti di noi siano andati perduti.
Altre volte, invece, capita che eventi traumatici, legati principalmente all’età infantile, lo alterino, spogliandolo della sua forma originaria.
Tramutandolo in materia plasmabile.
Pericolosa, ambigua, spiazzante, ingannevole.
Sdoppiandosi, triplicandosi.... creando copie di sé non proprio fedeli alla verità di partenza.
Delle alternative o varianti. Esperienze falsate.
Di cui è la mente stessa l’artefice, che innesca un processo di autodifesa inconscio, perché insostenibile e devastante è la portata del trauma subìto.
Anni di psicoterapia con alla base un’esperienza esp. Cosa ne vien fuori?
Desiderio o esigenza di razionalizzare l’irrazionale.
Mente e anima in rotta di collisione.
Ciò che si affanna a spiegare la prima è prontamente confutato dalla seconda.
Che a sostegno della sua tesi ripesca il ritrovato corpus rei -un antico specchio al cui interno vive una demoniaca presenza-, ritorna sul luogo del delitto e ripercorre a ritroso nella memoria gli eventi che crearono quel profondo squarcio interiore mai completamente ricucito.
A documentare il tutto, ci pensa un’ampia gamma di videocamere e fotocamere, fisse e mobili, in grado di restituire il dato di fatto, la verità oggettiva e non la personale versione della verità.
E poi, computers che registrano ogni minima alterazione (di calore e movimento) all’interno dell’ambiente prescelto.
E ancora, utile nell’affrontare il faccia a faccia con i demoni del passato, guardarli negli occhi ed esorcizzarli, sveglie con timer preimpostati al fine di non perdere la cognizione del tempo; scorte di cibo e di acqua così da scongiurare un’eventuale -inconsapevole- morte per fame e sete.
E da ultimo, telefonate-supporto, cui rispondere necessariamente, filtro con il mondo esterno.
Fuori da quel buco nero in cui i due protagonisti, sorella/anima e fratello/mente, sono finiti inghiottiti per pareggiare i conti con l’entità maligna placidamente accomodata in quella ostile superficie riflettente, colpevole di aver distrutto le loro vite.
Sì, perché ci troviamo in un territorio altro.
Che non è la dura terra sotto i nostri piedi ma un tappeto fluttuante e aguzzo, dai contorni indefiniti.
Su cui è difficile mantenersi in equilibrio. Dentro cui si affonda.
Che conta innumerevoli trappole, subdole e avviluppanti.
Tragicamente insidiose. Astutamente malvagie. Letali.
Dove i piani temporali si intersecano creando un suggestivo scenario che fa convivere insieme passato e presente.
Dove il dolore di una volta si somma all’esperienza estrema e irreversibile dell’oggi.
Dove le ferite del passato ritornano a sanguinare.
Dove è impossibile mantenere il controllo sulla realtà, che non fa che fondersi e confondersi per poi sfumare nelle multiformi suggestioni/allucinazioni della mente.
Indotte dalla terribile forza oscura.
Che gioca spudoratamente sporco con i punti deboli, le insicurezze, le frustrazioni, le cicatrici che ognuno si porta addosso.
Che fa leva sui vuoti affettivi incolmabili.
Spingendoci a guardare dentro. In quello specchio maledetto.
Per riconoscerci o convincerci di riconoscere l’immagine che ci rimanda indietro.
E farci perdere.
Così da stravolgere, ancora una volta, col suo potere malefico, la verità.
O quella che noi riteniamo tale.
Impossibile dimostrare l’imponderabile.
E lo specchio, questo, lo sa fin troppo bene.
Da vedere.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta