Regia di Carmine Gallone vedi scheda film
Per Scipione l'Africano vale, moltiplicato al quadrato, quanto già notato con riguardo ai film storici in generale, cioè di riflettere, nel bene e nel male, l'ideologia dominante del periodo in cui vengono realizzati. Questa caratteristica si attaglia in maniera potenziata al film di Gallone, in quanto espressione cinematografica del regime fascista. Concepito al momento dell'inizio dell'avventura etiope, uscito dopo la creazione dell'Impero in terra d'Africa, Scipione l'Africano è a suo modo un colossal di propaganda, pensato per divertire ed allo stesso tempo ammaestrare le masse italiche.
Bisogna dare atto al regista e ai suoi collaboratori di avere girato sequenze degne di Ejzenstejn e di Ford, soprattutto nella lunga parte dedicata alla battaglia di Zama. Nonostante qualche semplificazione descrittiva (gli elefanti punici si infilano proprio nei vuoti appositamente lasciati dai romani tra le loro file; Scipione dirige personalmente gli attacchi delle legioni, ecc.), alcune scene d'azione sono degne di rivaleggiare con il celebre assalto alla diligenza di Ombre rosse (che è del 1939).
Ciò che stona è soprattutto il tono retorico che domina il film e ancora di più l'interpretazione totalmente inadeguata del personaggio principale. Annibale Ninchi, infatti, a parte il nome dell'antagonista, possiede una recitazione esageratamente enfatica, tale da apparire in qualche momento una parodia del Mussolini più magniloquente. Neanche dal punto di vista fisico l'attore bolognese mi pare attagliarsi alla figura del condottiero romano: le gambotte da uomo maturo sotto al gonnellino da comandante delle legioni producono un effetto ridicolo, superato soltanto dal fulicone che copre da capo a piedi Fosco Giachetti, per la parte di Massinissa.
Appaiono, infine, anacronistici i riferimenti che uniscono Roma e l'Italia (all'epoca davvero un'espressione geografica) ed i richiami velati alla storia americana, per cui quel "vendicare Canne", ripetuto diverse volte durante il film, ricorda molto il "vendicare Alamo" dell'epopea di Davy Crockett.
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