Regia di Tze Chun vedi scheda film
Tze Chun è un più che promettente giovane regista bostoniano che già con il primo lungometraggio, Children of Invention, ha riscosso notevoli consensi e svariati premi, specialmente nei festival che guardano al cinema indipendente, tant’è che si fece già notare alla principale manifestazione di questo tipo, cioè al mitico Sundance. Questo è il suo secondo film ed è stato capace di mantenere tutte le promesse, girando un noir molto interessante che non ha avuto secondo me la necessaria diffusione per essere apprezzato come merita. Sia ben chiaro: non siamo davanti ad un capolavoro, ma semplicemente davanti ad un film certamente superiore alla media dei tanti film che riempiono le serate dei cinefili seduti a guardare la TV.
Lo schema non è innovativo e vi troviamo i soliti ingredienti classici: un malloppo da trasportare e consegnare senza sgarrare, un viaggio lungo le strade americane che portano alla frontiera canadese, l’intoppo imprevisto, l’ostaggio necessario (per il corriere, ovvio) quando la situazione si complica, il corriere senza scrupoli e di poche parole, affiancato però dal solito scagnozzo troppo impulsivo e poco prudente. Gli elementi giusti quindi ci sono e spetta al regista saperli gestire e dosare e ho trovato che Tze Chun ci sia riuscito. Ciò che domina il film è la tensione, mai altissima ma dosata in maniera intelligente e continua, nel senso che non ci sono momenti con grandi punte ma la senti, è continua, sai che qualcosa può succedere qualcosa da un momento all’altro, anche per merito delle caratterizzazioni dei personaggi.
La protagonista è Chloe, una donna sola e temprata dagli eventi della sua vita familiare, per cui poco impressionabile. È la prima cosa che si nota nel film, è quello che mi ha colpito per buona parte della storia: Chloe non si spaventa più di tanto, non urla, non cerca la via d’uscita in maniera immediata, ma riflette e si organizza prima di agire. È madre di una bambina – ma com’è che le bambine di questi film sono tutte perspicaci e parlano tanto? – che ovviamente è l’obiettivo più facile per il ricatto che può fare un fuorilegge.
Se la donna, che gestisce un motel desolato lungo la statale percorsa da questi due corrieri, è la protagonista coraggiosa della storia, il vero mattatore però è un ringhioso e di poche parole polacco, dal nome di Topo (!), un killer che con il suo inglese dal forte accento slavo cerca di portare a termine il suo compito: consegnare al suo capo una voluminosa borsa contenente mezzo milione di dollari nascosti nel cruscotto dell’auto con cui stanno viaggiando lui e Quincy, un balordo giovinotto che guida e che si caccia sempre facilmente nei guai. I destini di Chloe, una brava ed efficace Alice Eve, e di Topo - che forza ragazzi, Bryan Cranston!!! - sono destinati ad incrociarsi quando i due gangsters vanno a dormire nel motel della donna e da allora per via appunto di alcuni imprevisti tra l’uomo e la donna non ci saranno più strade al bivio e dovranno dividere il destino per un po’ di giorni, fino a quando la situazione precipiterà rovinosamente.
Inutile dire che la presenza di Bryan Cranston, qui con un paio di occhiali da sole per celare una incipiente cecità che gli rovinerebbe la sua “carriera”, è magica e dà maggior tensione con il suo carisma e il suo modo di recitare, ma anche la bionda Alice Eve se la cava egregiamente, mentre i momenti di instabilità riescono efficacemente a darli sia l’imprevedibile Robin Lord Taylor, l’autista, sia il più noto Logan Marshall-Green (Prometheus, Brooklyn’s Finest, Across the Univers), nel ruolo del poliziotto locale ma più corrotto e deviato mentalmente di Topo.
Buon film che va assolutamente recuperato, insomma.
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