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Algunas Chicas

Regia di Santiago Palavecino vedi scheda film

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La recensione su Algunas Chicas

di OGM
8 stelle

La macchina da presa ondeggia inquieta. La mente è confusa e l’occhio non sa dove guardare. Il vortice continua a girare, oltre i margini del visibile, e intanto il cerchio si stringe. È quella spirale ad unire i destini  di quattro giovani donne, accomunate dal senso di progressivo soffocamento, in mezzo ad un buio esistenziale in cui emergono fiamme di sangue ed urla di dolore. Paula ha tentato il suicidio, tagliandosi le vene. Celina è scappata via dalla città, dove ha lasciato un marito dal quale intende separarsi. Maria vive in campagna per godersi, in solitudine, la riconquistata libertà e la fortuna che ha ereditato. Nene sogna e prevede il futuro, mescolandolo con un passato che appartiene ad altri. Una grande villa isolata, affacciata su un bosco reale ed un fiume immaginario, è il luogo in cui quelle anime si riuniscono per tentare di decifrare insieme il messaggio in codice che una realtà divenuta estranea ha consegnato a ciascuna di loro: si direbbe una formula che allude ad una verità nascosta, circondandola di un alone di ferocia, di tradimento, di delirio senza ritorno. Nel film di Santiago Palavecino la psicanalisi è una forma di stregoneria, che celebra i suoi riti nell’oscurità della notte e nel silenzio del sonno, facendo in modo che l’incubo sia quello che si incontra al risveglio. L’inspiegabile cova nell’ombra i suoi intricati progetti, per  poi protenderne le trame contorte verso la pallida luce di un sole senza calore né gioia. In questa storia l’amore non brucia, e la tristezza non versa lacrime. L’enigma è chiuso in un’ermeticità fredda, che né i pensieri razionali, né le visioni oniriche riescono a scardinare. Intanto l’obiettivo oscilla, in un ansimo di smarrimento. Da qualche parte, là fuori, vive la sofferenza parlante, che si esprime a parole e produce richiami, significati, termini di confronto. È il verso lontano di una bestia ferita che comunica al mondo il proprio male ed invoca pietà. Invece, al di qua dell’orizzonte, non esiste altro che la reticenza dell’oblio, il discorso indiretto del simbolismo, l’ebbrezza provocata dalla droga della finta intesa. Le quattro protagoniste sono, ciascuna a suo modo, cinte d’assedio da una fine che avanza sempre di più, per cancellare le domande a cui non è possibile dare risposta. Quelle donne sono legate tra di loro, ma non sanno come. Sono tutte condannate, ma non sanno perché. Si sentono lambite dal desiderio di una distruzione liberatoria, ma non sono in grado di dare, a quel fantasma, una sembianza precisa: forse è un pezzo di vetro  che ferisce ma non uccide,  forse un fucile che spara ad un animale impagliato, forse una dose di cocaina che la domenica non si paga, o forse, ancora, una piscina vuota in cui si annega con gli abiti fradici di pioggia. Il paradosso è la versione sottile dell’assurdo: è quella striscia finissima che si insinua nelle fessure tra i concetti sfumati, è un filo ch serpeggia lungo la soglia che divide la logica dalla fantasia. Questa storia segue la linea di confine stando al di dentro, potendone dunque vedere soltanto un lato,  il rovescio della verità inafferrabile che si estende al di là. All’interno di quella frontiera ci troviamo tutti, amici e sconosciuti, tutti siamo compaesani di una piccola terra fatta di un disperato brandello di ignoranza. La nostra casa è ovunque, come dice Morelli,  ed è per questo che dobbiamo partire. Dobbiamo viaggiare per tornare indietro, al bandolo della matassa; dobbiamo viaggiare per raccogliere sempre nuovi indizi della nostra prigionia di esseri che intuiscono senza comprendere. Ci troviamo tutti lì, sgomenti della nostra comune sventura. E sgomenti, ancora di più, perché l’unica solidarietà possibile è quella con cui ci aiutiamo reciprocamente ad affondare. Algunas chicas dipinge, in una vibrante atmosfera metafisica, silvestre e crepuscolare, la decadenza come un abbandono che non si rassegna. Continua a sbattere le ali appesantite dal pianto, intorbidendo lo scorrere del tempo, ed abbassando poco a poco le palpebre su un tramonto che non vuole finire.

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