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Le schiave della città

Regia di Mitchell Leisen vedi scheda film

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La recensione su Le schiave della città

di Baliverna
8 stelle

Bello. Tanto bello quanto sconosciuto. E’ una specie di film drammatico con numeri musicali degni del migliore musical. Anzi, essi si distinguono per qualità delle canzoni e ricchezza di invenzioni e scenografie (memorabile la sequenza al circo, dove canta anche Ray Milland!!). La pellicola è interessante anche quanto a materia narrativa e temi affrontati. Il ritratto della protagonsita è approfondito e sfaccettato, e non rinuncia a toccare argomenti fondamentali nella vita di molte persone. E’ molto interessante vedere come il disagio cresce dentro di lei, un disagio che è spia di un malessere profondo e che lei cerca con ogni mezzo di reprimere, anche buttandosi tutta nel lavoro. E’ la coscienza che le urla che la vita che conduce è sbagliata e fuorviata, e va contro i suoi stessi desideri più sinceri. Dietro a tutto ciò c’è un’infanzia di sofferenze che condiziona la vita della donna adulta e ne blocca lo sviluppo, soprattutto nel campo dell’affettività. Il cuore dell’essere umano è dopo tutto molto delicato: basta un trauma affettivo subito in tenera età ed ecco che siamo conciati male per tutta la vita, almeno finché esso non viene identificato e guarito. La riflessione sull’argomento è tutt’altro che banale, e devo anche ammettere che l’uso della psicanalisi – della quale non sono amico – è misurato e pertinente, perché non cede al compiacimento e all’esagerazione.

Va anche detto che il film riflette su certi risvolti dell’emancipazione femminile (almeno così la chiamano) e sulle vere motivazioni che muovono certe donne in carriera, alla quale sacrificano la propria vita privata, l’amore, la famiglia e la stessa parte più vera e sincera di sé. In certi casi – sembra proporre il film – sono frustrazioni di varia natura a generare nella donna desideri di una malintesa rivalsa, a volte di vendetta, e a condurla ad autoimporsi un portamento maschile che ne castiga la femminilità e il suo vero carattere. Non manca tuttavia la punzecchiata a certi uomini deboli che cercano non una moglie ma una madre, che diriga la loro vita e disponga di loro. 

Vieri Razzini, nel commento all’edizione in dvd, nota con una punta di dispiacere che la commedia teatrale da cui è stato tratto il film è un testo di satira sulla psicanalisi, mentre il film fa un discorso serio; diciamolo ce n’è bersagli da colpire nella psicanalisi, ma qui essa viene usata per interessanti riflessioni sulla vita e sull’interiorità di una donna combattuta e tormentata, che non fanno rimpiangere il testo originario. Ginger Rogers era, oltre che un’ottima ballerina, anche una grande attrice, e Mitchell Leisen un bravo regista drammatico, oltre che naturalmente di commedie. Bellissimo e umoristico il finale.

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