Regia di Mitchell Leisen vedi scheda film
Bello. Tanto bello quanto sconosciuto. E’ una specie di film drammatico con numeri musicali degni del migliore musical. Anzi, essi si distinguono per qualità delle canzoni e ricchezza di invenzioni e scenografie (memorabile la sequenza al circo, dove canta anche Ray Milland!!). La pellicola è interessante anche quanto a materia narrativa e temi affrontati. Il ritratto della protagonsita è approfondito e sfaccettato, e non rinuncia a toccare argomenti fondamentali nella vita di molte persone. E’ molto interessante vedere come il disagio cresce dentro di lei, un disagio che è spia di un malessere profondo e che lei cerca con ogni mezzo di reprimere, anche buttandosi tutta nel lavoro. E’ la coscienza che le urla che la vita che conduce è sbagliata e fuorviata, e va contro i suoi stessi desideri più sinceri. Dietro a tutto ciò c’è un’infanzia di sofferenze che condiziona la vita della donna adulta e ne blocca lo sviluppo, soprattutto nel campo dell’affettività. Il cuore dell’essere umano è dopo tutto molto delicato: basta un trauma affettivo subito in tenera età ed ecco che siamo conciati male per tutta la vita, almeno finché esso non viene identificato e guarito. La riflessione sull’argomento è tutt’altro che banale, e devo anche ammettere che l’uso della psicanalisi – della quale non sono amico – è misurato e pertinente, perché non cede al compiacimento e all’esagerazione.
Va anche detto che il film riflette su certi risvolti dell’emancipazione femminile (almeno così la chiamano) e sulle vere motivazioni che muovono certe donne in carriera, alla quale sacrificano la propria vita privata, l’amore, la famiglia e la stessa parte più vera e sincera di sé. In certi casi – sembra proporre il film – sono frustrazioni di varia natura a generare nella donna desideri di una malintesa rivalsa, a volte di vendetta, e a condurla ad autoimporsi un portamento maschile che ne castiga la femminilità e il suo vero carattere. Non manca tuttavia la punzecchiata a certi uomini deboli che cercano non una moglie ma una madre, che diriga la loro vita e disponga di loro.
Vieri Razzini, nel commento all’edizione in dvd, nota con una punta di dispiacere che la commedia teatrale da cui è stato tratto il film è un testo di satira sulla psicanalisi, mentre il film fa un discorso serio; diciamolo ce n’è bersagli da colpire nella psicanalisi, ma qui essa viene usata per interessanti riflessioni sulla vita e sull’interiorità di una donna combattuta e tormentata, che non fanno rimpiangere il testo originario. Ginger Rogers era, oltre che un’ottima ballerina, anche una grande attrice, e Mitchell Leisen un bravo regista drammatico, oltre che naturalmente di commedie. Bellissimo e umoristico il finale.
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