Regia di Agnès B. vedi scheda film
Un’opera prima resta un’opera prima, anche se a firmarla è una signora di 72 anni, affermata stilista che ha impresso il suo nome su abiti, profumi e boutique e, da 15 anni a questa parte, anche su pellicole di Harmony Korine, Claire Denis, Gaspar Noé, in veste di illuminata produttrice. Degli esordi, quindi, ha tutti i difetti e qualche pregio, Je m’appelle hmmm..., dove l’onomatopea rimpiazza il nome di Céline, undicenne francese in fuga dal peggiore dei padri insieme a Peter, camionista scozzese dal cuore d’oro. Il film, nella sua andatura ondivaga di road movie tra realismo e strappi onirici, funge da diario immaginario, a più voci: quella di una bambina la cui infanzia violata non si può guarire, di un genitore sconvolto dal suo stesso misfatto, di una madre ignara e sfinita dalla vita. Le pagine si affastellano con impeto irrazionale, s’increspano di inserti in bianco e nero, disegni, filmini e altre brusche variazioni di stile, si gonfiano di apparizioni (Toni Negri saggio vagabondo) e debordano dai margini, lasciando il lettore/spettatore ora sopraffatto, ora esausto. Convince il legame fra Céline e il suo “rapitore”, che per la difficile comunicazione bilingue finisce per basarsi su piccoli gesti, sguardi e slanci d’affetto: coppia anomala e indigeribile alla società, ricorda alcuni teneri e malconci personaggi del sodale Korine. Ma il film della tardiva esordiente non tiene la strada quanto il camion di Peter, sbanda fra contenuti scabrosi e lirismi forzati, deraglia nel mélo sanguigno e si chiude nel mistero, come un diario privato e intelligibile solo al proprietario.
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