Regia di Greg McLean vedi scheda film
Il ritorno di Mick Taylor, uno dei più feroci protagonisti che il cinema horror abbia mai visto. Nome da chitarrista dei Rolling Stones, faccia da Neil Young odierno, violenza da Leatherface: Jarratt è straordinario, nella camicia di questo redneck dell'outback australiano, tutto slang, coltelli, fucile da caccia grossa e macelleria. McLean, il regista, è uno che ci sa fare, eccome. Pochi film, tutti riusciti, tutti implacabili. Qui si torna attorno al cratere di Wolf Creek, sperduto nel rosso deserto australiano, e McLean cambia il registro, almeno nella prima parte. Dopo un inizio che è pura macelleria, disturbante e francamente sopra le righe e in modo abbastanza gratuito (ci sarebbe da ridire, ad esempio, sulla decapitazione via coltellaccio, che ho trovato inopportuna visti i tempi che viviamo), trasforma la parte centrale di questo film in un inseguimento tutto (grossi) automezzi, esplosioni, inquadrature che sfruttano le più moderne tecniche di ripresa e canguri in CGI, che sgonfia il film, secondo il mio punto di vista. La parte finale, invece, riporta all'atmosfera densissima dell'originale, ma anche qui, il gioco è già visto, anche se l'idea che poi evolve in un bel finale, è degna di nota, con "Danny Boy", per esempio, che risuona nelle catacombe metafisiche di Mick Taylor. E' un horror che pecca di amalgama, di continuità: pare nettamente diviso in almeno due o tre parti, senza una reale necessità, se non quella di fare il suo lavoro, ovvero tenere alta la tensione e farla sgocciolare di sangue. Tutto qui, ma quello che c'è è comunque ben sopra la media, fosse solo, ripeto, per la figura di Taylor, che da sola vale la visione. Resta, a mio avviso, nettamente inferiore al magnifico primo episodio. Da vedere solo in originale sottotitolato, per non perdersi l'uso dello slang che impreziosisce il lavoro di Jarratt.
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