Regia di Ti West vedi scheda film
Il giochetto di una ricercata contaminazione tra ammiccamenti cinefili e l'orrore che sembra fare capolino dalla registrazione oggettiva di una realtà cronologicamente documentata (The Inkeepers) qui sembra funzionare assai meno, risolvendosi nel pastiche di banalità cinematografiche di una horror exploitation a corto di sangue ed efferatezze.
Accompagnato dal reporter e dal cameramen di una testata di attualità scandalistica indipendente, il giovane fotografo newyorkese Patrick si reca su invito della sorella Caroline, presso la comunità rurale nella giungla centroamericana dove lei si è trasfertita per disintossicarsi dalla sua dipendenza dalle droghe. Quella che sembra una pacifica comune agricola, fondata sui principi di una singolare dottrina di socialismo evangelico e con a capo un carismatico pastore chiamato 'Il Padre', si rivelerà essere un luogo di costrizioni e promiscuità proprio sull'orlo di una tragica deflagrazione sociale e spirituale.
Dalle parti di un meccanismo della tensione che ricalca la facile formuletta del foud footage spurio (metà in terza persona e metà in soggettiva) Ti West finisce per applicare le ironiche derive del finto cinema veritèe già sperimentate per il fortunato The Inkeepers, con un soggetto tratto a bella posta dal famigerato massacro di Jonestown; il più grande suicidio di massa (o presunto tale) nella storia degli Stati Uniti (909 i morti accertati tra cui quello del membro del congresso Leo Ryan che si erà colà recato insieme ad alcuni parenti dei residenti della comunità e ad alcuni giornalisti). Sotto l'egida dell'esibito sensazionalismo del produttore Eli Roth, West imbastisce l'Eden scenografico a buon mercato di una Guyana francese dalle parti di Savannah, quale puro pretesto per una horror exploitation a corto di sangue ed efferatezze (tranne per il finale, ma è poca roba) col solo scopo di alimentare una ambiguità narrativa che si vorrebbe basare sul potere evocativo della parola e la trappola per topi di una comunità religiosa sotto scorta armata. Il giochetto di una ricercata contaminazione tra ammiccamenti cinefili e l'orrore che sembra fare capolino dalla registrazione oggettiva di una realtà cronologicamente documentata qui sembra funzionare assai meno, risolvendosi in una storia sciatta e telefonata dove nemmeno la biondina di turno (una semisconosciuta Amy Seimetz) riesce ad alimentare le insane simpatie per il macabro che aveva ispirato nel film precedente l'interpretazione civettuola della simpatica receptionist di Sara Paxton. Se sia peggio giocare con il fuoco di una storia di fantasmi da motel in dismissione o con le paranoie millenaristiche di un megalomane naturista votato al massacro poco importa, il film di West pecca soprattutto sul versante della elaborazione di un soggetto che non stà nè dalla parte della docu-fiction nè da quella del thriller de paura, rivelandosi sin da subito per quello che è: un pastiche di banalità cinematografiche da antologia che si risolvono per lo più con infingimenti della tensione di ridicole scene da caccia all'uomo e di inutili rappresentazioni di auto da fè variamente assortite. Recitazione , come tutti gli altri aspetti tecnici e artistici, sotto il livello di guardia, con l'unica eccezione della scena dell'intervista al 'Padre' come pure del suo sermone finale, interpretato dal caratterista Gene Jones (l'altro Jones si chiamava Jim!), che sembra conservare nel nome e nell'aspetto il triste presagio di una ricercata corrispondenza...del casting.
Nomination nella sezione Nuovi Orizzonti come miglior film al Festival di Venezia 2013. Come il cianuro di potassio, roba tossica da smaltire in Laguna.
"Non possiamo tornare indietro. Non c'è nessun posto in cui tornare. Il nostro tempo è scaduto."
(Dalla lettera ai Romani)
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