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Ana Arabia

Regia di Amos Gitai vedi scheda film

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La recensione su Ana Arabia

di ed wood
2 stelle

Sbaglia tutto questa volta Amos Gitai, che ci aveva abituato a piccoli geniali trattati di cinema politico sulla scorta di un realismo senza aggettivi, quasi sciatto, in presa diretta e in semi-soggettiva, sempre pronto però a ribaltarsi in clamorosi sconvolgimenti estetici (gli incipit/excipit erotici-cromatici di "Kippur", la seconda parte onirica di "Terra Promessa"). Qui invece si attiene, dall'inizio alla fine, ad una estetica da reportage, in cui un personaggio-mediatore (la giornalista) attraversa lo spazio di una famiglia mista (ebrei ed musulmani) e il tempo dei racconti, dei ricordi e dei sogni: strumento designato per questa sonda in un Medio Oriente "alternativo" (ma neanche troppo sorprendente) è il piano-sequenza. Nessuno stacco per 90 minuti, come in "Arca Russa" di Sokurov. Se però, nel film del siberiano, la continuità spazio-temporale era funzionale ad un discorso dialettico con la Storia (e l'Arte, e la Cultura) della Russia, qui rimane solo l'inerte e sterile veicolo per un film-intervista francamente noioso. "Ana Arabia" è nullo come opera cinematografica e mediocre anche come servizio televisivo: le storie raccontate dai personaggi non dicono nulla di particolarmente sconvolgente, nulla che offra una visione veramente innovativa ed anti-convenzionale del conflitto fra israeliani ed arabi. Forse è odioso e supponente affermare che "Ana Arabia" sia l'anti-cinema: però effettivamente in un film così incentrato sulle persone, le loro storie, i loro sentimenti, i loro conflitti, sarebbe stato più opportuno adottare il montaggio (che poi, obiettivamente, è ciò che definisce maggiormente il cinema dalle altre arti, ciò che da senso al fluire delle immagini), evidenziando volti e rapporti di forza fra i personaggi. Uno stile così ostinatamente radicale da risultare inespressivo, abbinato ad un testo che ha un decimo delle sfaccettature dell'ottimo "Free Zone", affossano inesorabilmente un'opera fallimentare. Un Gitai presuntuoso e velleitario, dunque, che ha l'ulteriore colpa di infiocchettare il tutto con insensati inserti musicali, di tanto in tanto.

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