Trama
Al confine tra Jaffa e Bat Yam, in Israele, vi è una piccola comunità di emarginati ebrei ed arabi che vivono insieme. Un giorno vi arriva in visita Yael, una giovane giornalista israeliana di religione musilmana. Tra le fatiscenti baracche, circondate da alberi di limoni e case popolari, Yael scopre una serie di personaggi lontani dai soliti cliché che offre la regione, avendo la sensazione di aver scoperto una miniera d'oro per il suo lavoro. I racconti e le parole che ascolta da Youssef e Miriam, da Sarah e Walid, dai loro amici e dai loro vicini, le faranno capire che vi è possibilità di coesistenza anche tra popoli diversi.
Approfondimento
ANA ARABIA: UNA STORIA DI AMORE E CONVIVENZA IN UN LUOGO DI GUERRA
Diretto da Amos Gitai e realizzato in un unico piano sequenza di 81 minuti, Ana Arabia (che in arabo significa "Io arabo") si basa su diverse fonti, una delle quali è una notizia apparsa sulla stampa europea e riguardante una donna ad Umm el Fahem, un villaggio a nord di Israele. Recatasi dal medico a causa di una carenza di calcio, il medico le rispose che il suo era un problema legato a una possibile malnutrizione da bambina. Con la testa coperta come tutte le donne musulmane, la donna gli disse che era in realtà nata ad Auschwitz. Attraverso quell'episodio si scoprì una rarissima storia di amicizia e di amore, in una terra martoriata da odio e conflitti, tra un'ebrea nata in un campo di concentramento e il marito musulmano, capostipiti di una famiglia di 5 figli e 25 nipoti.
Cominciando a cercare materiale per raccontare diverse vicende, capaci di vincere ogni forma di pregiudizio e di ostilità, il regista Amos Gitai ha fatto affidamento anche a La trilogia di Wadi, tre documentari da lui realizzati che descrivono un gruppo di arabi ed ebrei che vivono nella zona di Wadi, a nord di Israele.
UN UNICO PIANO SEQUENZA ALL'INTERNO DI UNA BARACCOPOLI
Il set è un importante protagonista di Ana Arabia. Le riprese si sono tenute nell'ultima enclave di una baraccopoli di Jaffa, vicino a Tel Aviv. Nella baraccopoli, in uno spazio alquanto ristretto, convivono palestinesi e immigrati da ogni dove (soprattutto russi), che tutti i giorni sono anche costretti a subire le pressioni del settore immobiliare che ha già divorato l'intera città e che vorrebbe occupare anche il loro spazio.
La sfida principale di Ana Arabia, inoltre, è stata data dalla volontà di Gitai di girare in un unico piano sequenza. Si è trattato di una vera sfida tecnica dal momento che tutte le cineprese esistenti non permettono di girare in continuazione oltre i 17 minuti. Per ovviare a tale problema, Gitai e il direttore della fotografia Giora Bejach hanno usato una Arriflex Alexa collegata a un disco rigido esterno e hanno diluito le riprese in più giorni, girando sempre tra le 16 e le 17:30, in modo da non avere variazioni di luce naturale o di colori.
Note
Gitai s’inventa un dispositivo fuor d’ogni retorica, nudo sino al didascalismo, per raccontare la storia di una donna, di un film, di un mito possibile, che sa unire due mondi. Il film, girato in un unico piano sequenza, è di un nitore morale accecante.
Trailer
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Commenti (2) vedi tutti
“La terra ce l'abbiamo già, ci manca solo il sogno.”
leggi la recensione completa di mckFilm abbastanza appassionante,non male ed accattivante anche la Protagonista e tutto fila via liscio senza molti scossoni nella visione.voto.6.
commento di chribio1