Regia di Steven Knight vedi scheda film
Locke è uno di quei film che a prima vista offrono poco o niente ed invece compiono il miracolo di tenere lo spettatore inchiodato alla poltrona, attraverso la rappresentazione dei rovelli di una persona che ha deciso, puramente e semplicemente, di assumersi le proprie responsabilità nei confronti della vita, affrontando lucidamente le conseguenze della propria decisione.
È un film "di sceneggiatura"? Certo, anche perché Steven Knight è un valido ed affermato sceneggiatore cinematografico. Però deve anche essere apprezzato il coraggio di un regista che tiene ferma la macchina da presa su un protagonista di intensa sobrietà, con qualche digressione sul navigatore satellitare dell'auto e sui lampioni lungo la strada che conduce alla clinica ginecologica dov'è diretto.
Il protagonista, Ivan Locke, è sostanzialmente un omonimo del celebre filosofo inglese del XVII secolo (com'è noto, Ivan è la versione di derivazione slava del nome Giovanni, cioè John), rappresentante britannico dell'illuminismo, e razionalmente decide di adempiere ad un imperativo morale, che gli deriva dall'esperienza di bambino abbandonato dal padre. Il John Locke filosofo era stato, infatti, in contrasto con la concezione platonica dell'innatismo delle idee nella mente umana, un convinto sostenitore dell'empirismo, anche con riguardo alla formazione delle idee. Quella esperienza negativa vissuta nell'infanzia aveva chiuso a chiave il protagonista (in inglese locked) in un mondo, affettivo e razionale, che rappresentava per lui al tempo stesso ogni sicurezza, ma anche una prigione mentale. Ivan Locke è infatti un buon padre di famiglia e un capocantiere modello nel lavoro: un "errore" commesso nove mesi prima - una notte di piacere con una segretaria non più giovanissima, rimasta incinta di lui - lo spinge (non costringe) ad uscire da quella prigione, anche di finzioni, in cui vive, costringendolo (in questo caso sì) ad ammettere che, come gli rinfaccia la moglie al telefono, «la differenza tra un tradimento e zero tradimenti è un abisso» e inducendolo a mettere in discussione in un attimo tutti i "privilegi" acquisiti durante un'intera vita: la famiglia, la casa, un ottimo lavoro e, in sostanza, la fiducia che gli altri nutrono in lui.
Tutto questo è narrato con estrema sobrietà di accenti, grazie al volto espressivo e all'espressività misurata del protagonista Tom Hardy e facendo recitare anche i moderni ritrovati della tecnologia, in primis il telefono cellulare (sul quale vanno facendosi sempre più frequenti le chiamate e sul quale si accumulano gli avvisi di chiamata in attesa), il navigatore satellitare che indica le uscite autostradali, che passano come moderne stazioni della via crucis, una bella auto nuova, che fila su strade bene illuminate (il protagonista continua a ripetere «il traffico è scorrevole», come per darsi coraggio, anche se la decisione è presa). E se il punto debole è il dialogo tra Ivan e il fantasma del padre (personificato dallo specchietto retrovisore dell'automobile), Steven Knight dimostra comunque di essere un cineasta da seguire, sia come regista che come sceneggiatore.
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