Regia di Steven Knight vedi scheda film
Chiuso in una macchina, Ivan Locke guida verso un ospedale, una donna che ha messo incinta sta per partorire. Intanto gli arrivano delle telefonate, dalla moglie e dai figli, a casa, che lo aspettano per vedere una partita di calcio insieme, dai colleghi di lavoro, perché il giorno dopo ci sarà un’enorme colata di calcestruzzo, la più grande mai fatta in Europa. Ivan Locke parla al telefono, confessando la sua vita e i suoi errori, intrattenendo discorsi mentali con il fantasma del padre, invisibile, sul sedile posteriore, che accusa e contro il quale cerca una possibile redenzione. Chiusi nella macchina insieme al protagonista veniamo trascinati in uno spazio-tempo altro, costruito splendidamente in maniera filmica, infatti il non-luogo (sempre in movimento) della macchina si apre, grazie ai dialoghi telefonici, sul mondo interiore dei personaggi (anche se l’unico visibile è solo Tom Hardy), le loro parole diventano immagini e sensazioni nella mente dello spettatore e noi entriamo dentro di loro, immergendoci nel flusso della narrazione che è lo stesso dell’andatura della macchina, mentre attraversa la notte, sfiorando le luci della città e dei lampioni, in meravigliose immagini sfuocate, che diventano pure percezioni astratte.
La visione è quindi dinamica, fluida e prende forma dalle parole, dalla sceneggiatura, trova il suo respiro nel movimento dell’auto e in quello della musica che accompagna Locke nel suo viaggio, che è anche e soprattutto un percorso che lo porta dentro se stesso e in maniera più amplificata dentro l’universo maschile, che finalmente trova una degna rappresentazione e sorprende (perché condivisibile) la calma e la tranquillità con cui L. affronta questo momento cruciale della sua vita in cui tutto potrebbe cambiare e non essere più come prima. Un universo maschile che si divide tra il lavoro (e i suoi sottotesti sociali ed economici: il controllo che il denaro esercita sulla nostra vita, la manodopera dell’Est che esegue e i padroni di Chicago che decidono), le donne (un’amante occasionale che aspetta un figlio, una moglie incapace di comprendere quanto è accaduto) e i figli (il racconto della partita di calcio). Un universo in cui Locke cerca di trovare un equilibrio, di cancellare queste divisioni, di far scorrere tutto nella maniera giusta e l’unico modo è seguire il flusso della vita stessa, di quello che al suo interno accade e solo dopo questa consapevolezza possono scomparire gli errori, le colpe, le angosce. E in questa direzione va Locke, in un viaggio esistenziale che è anche un abbandonare le proprie paure (si legge adios sulla sua targa), verso qualcosa di autentico, una nuova vita, un luogo dove non ci siano più differenze tra bene e male, una volta e nessuna, ma solo il loro continuo e inarrestabile trasformarsi.
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