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Locke

Regia di Steven Knight vedi scheda film

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La recensione su Locke

di FilmTv Rivista
9 stelle

Terzo millennio, epoca dell’isolamento solipsistico dell’individuo, connesso al mondo che lo circonda attraverso periferiche di input e output, ma fisicamente sganciato dall’interazione faccia a faccia. Il medium come dogma, religione, plenipotenziario cognitivo e interattivo. Knight è attento osservatore della contemporaneità e forza consapevolmente la mano, chiudendo il suo Locke in un’autovettura dal primo all’ultimo minuto di questo racconto aristotelicamente sviluppato in (quasi totale) unità di tempo e luogo. Narrativamente, trattasi di meccanismi all’apparenza semplici: tre piste narrative (familiare, lavorativa, extraconiugale) per altrettanti nuclei di crisi e vettori di frantumazione dell’esistenza, sintomatici dell’epoca in cui viviamo. Tre sono anche sono le linee telefoniche aperte, continuamente intrecciate in un rilancio drammatico nel quale la moglie aspetta a casa, l’amante occasionale in sala parto mentre i colleghi (subalterni e superiori) incalzano perché Ivan Locke sia presente alla colata di calcestruzzo dalla quale potrebbe dipendere la solidità del suo futuro (e della sua abitazione).

La nuova ribalta del kammerspiel è l’autospiel, dramma in vettura nel quale la macchina, al termine delle contaminazioni cronenberghiane e delle rivolte verhoeveniane, è ormai corpo disciplinato e regolato, perfettamente in grado di condurre i giochi e ospitare un essere umano sempre più autistico e solo nella rete. Locke è allineato con uno spettatore post-tutto, chiamato a creare il mondo esterno con modalità virtuali poiché lontano da una posizione esperienziale diretta. Una Second Life impaginata dalla mente del pubblico e lasciata all’immaginazione: ognuno, Locke in primis, è libero di costruirsela come vuole, la propria (proiezione di) realtà. Abitazione compresa, dato che quel calcestruzzo dovrà essere colato senza che il protagonista ne possa “toccare con mano” la consistenza, configurando le fondamenta dell’edificio su base rigorosamente intangibile.

Knight impagina la sua sceneggiatura con un sistema di ripresa nel quale il dispositivo si appropria coerentemente della ribalta significante: sistemi di ripresa multipli, interni ed esterni all’abitacolo, display telefonico digitale come narratore onnisciente a suon di squilli e annunci grafici che precedono nuove chiamate in entrata (e nuovi rilanci drammaturgici): tutto è funzionale all’oppressione esercitata dal nuovo mo(n)do delle comunicazioni e delle relazioni sul singolo alla deriva, interpretato dall’istrionico Tom Hardy con presenza scenica da gigante. Dopo averne scalfito la superficie con gli spaesamenti urbani di Redemption, il regista entra nel cuore di ghiaccio della contemporaneità consegnandoci un testo che, tra qualche anno, considereremo seminale.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 17 del 2014

Autore: Claudio Bartolini

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