Regia di Alexandros Avranas vedi scheda film
Costa una certa fatica scrivere di "Miss Violence" velando quei punti nevralgici del film che richiedono alla penna lo sforzo di non rivelare più del dovuto. L'effetto sorpresa è l'ingrediente principale della pietanza ed il regista Alexandros Avranas, benché parsimonioso nell'uso, ne getta una cospicua manciata nella sconvolgente sequenza iniziale e nell'agghiacciante ultima che chiude un cerchio di efferatezze non comuni. Questo film ha la forma della storia, quella ciclica che si ripete costante come le onde del mare. L'inizio segna la fine. La fine è un nuovo inizio. Il regista greco scardina la sequenza logica del racconto invertendone i poli. Il principio non è un principio, la conclusione non è una conclusione. Il corpo della vicenda è una vita nuova che emette il primo vagito quando il prologo ha già violentato l'animo dello spettatore ed emette l'ultimo rantolo allo schioccare del chiavistello. Tra i due fuochi si narrano le vicende del padre, della madre, delle figlie e dei due nipoti, pedine che si muovono in un angusto scacchiere delimitato da porte e finestre che si chiudono e si aprono con parsimonia. I pezzi si muovono secondo l'ordine pensato e voluto dal padre che in ogni situazione esercita un maniacale controllo sulla famiglia. L'uomo decide cosa acquistare al supermercato, di cosa cibarsi, chi ospitare in casa. Elargisce punizioni corporali a chi non rispetta il silenzio e a chi non fa i compiti per casa. Mantiene una distanza siderale tra se e le figlie con il calcolato distacco emotivo che un aguzzino riserverebbe alle vittime di una forzata carcerazione. Mentre i sogni di libertà della piccola Angeliki si librano nell'aria, oltre il balcone di casa, Eleni e Myrto elemosinano un gesto caritatevole del padre, un'incrinazione nella ferrea disciplina imposta dall'uomo che, da abile manipolatore, sa quando concedere qualcosa agli schiavi per evitarne la ribellione.
Un pò alla volta Avranas scopre le carte in tavola. Cogliamo lo scopo dell'atteggiamento paterno, intuiamo la rabbia e la paura delle sorelle e comprendiamo le motivazioni di quello scacco al Re tentato dalla piccola Angeliki, capace di creare, nel nucleo famigliare, la pronta reazione del padre, quindi la rivolta di chi aveva guardato, senza mai intervenire, a quell'equilibrio spezzato.
Un poco per volta vengono svelati i legami di sangue e l'origine del danaro che il padre guadagna quando il suo lavoro non è più necessario... un pò alla volta, per mantenere il contatto con un realtà da cui si vorrebbe allontanarsi immediatamente.
Nel microcosmo di una famiglia rinchiusa in un asettico e impersonale appartamento di Atene Alexandros Avranas mette in scena la bassezza morale della società greca, acuita dalle violente crisi economiche e istituzionali che ne hanno favorito la devianza morale. In una società sempre più marcia il regista greco punta il dito contro la famiglia, cellula primaria dell'organismo sociale che ha sacrificato i suoi valori di fronte allo sfacelo economico e istituzionale del tempo vissuto.
Quando la serratura si chiude lasciando fuori ogni tentativo di contatto esterno (il vicinato, le amicizie, i servizi sociali) le redini di famiglia passano di mano ma tutto rimane inalterato, tutto si ripete. A qualcuno spetteranno nuove e scomode decisioni. Qualcun'altro eserciterà il potere sotto la forme di nuove o vecchie forme di schiavitù. Come un governo che ha venduto i propri cittadini, li ha costretti alla prostituzione per mantenere alcuni dei propri diritti basilari, e che, ora, esautorato dai propri elettori, venga sostituito da altro potere che abbia dimenticato le ragioni del proprio consenso per esercitare un più bieco controllo e una peggior punizione nei confronti di quanti anelavano, semplicemente, alla fine di un incubo.
La regina ha fatto fuori il re. I pedoni sono rimasti a guardare, impauriti, il manifesto terribile del loro nuovo destino.
Leone d'Argento per la miglior regia e Coppa Volpi al miglior interprete maschile a Venezia70.
Superlativo.
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