Regia di Alexandros Avranas vedi scheda film
“Eleni, chiudi la porta a chiave!”
Nel giorno dei festeggiamenti in famiglia per il suo undicesimo compleanno, Angeliki si butta improvvisamente e con fare impassibile dal balcone di casa, interrompendo con la sua inspiegabile morte l'ordinarietà della vita in quella casa.
La famiglia, molto numerosa e con diversi bambini senza un padre, cerca di superare il lutto tornando a vivere normalmente, convincendo se stessa e gli inquirenti che si sia trattato di un assurdo incidente. Il pater familias (Themis Panou), in cerca anche solo di un lavoretto precario, gestisce con fare premuroso, meticoloso ma anche autoritario ogni singolo dettaglio, dall'andamento scolastico dei nipoti più piccoli fino al recupero psicologico della taciturna moglie (Rena Pittaki) e della figlia più grande Eleni (Eleni Roussinou), a sua volta proprio madre single della piccola suicida.
Ma, per quanto gli assistenti sociali sembrino non rilevare niente di particolare all'interno di quelle mura così asettiche e curate, la famiglia di Angeliki nasconde qualcosa: i rapporti fra i suoi membri e le fonti di sostentamento non sono chiari, si respira aria di violenze sistematiche, di comportamenti crudeli taciuti dall'omertà. Finché…
Secondo lungometraggio dell'allora 36enne Alexandros Avranas, rampollo della new-wave del cinema greco, “Miss Violence” ha fatto parlare molto di sé un paio di anni fa al Festival di Venezia dove Avranas, anche co-sceneggiatore, si è aggiudicato il premio alla miglior regia. Il suo lavoro, in effetti, è stato quantomeno particolare: per circa un'ora il film è un'opera di sottrazione da artista navigato, deciso a sondare il versante umano e quotidiano dell'elaborazione del lutto con la fissità dello sguardo registico e con una fotografia glaciale (memore della lezione dello splendido “Kynodontas” del connazionale Lanthimos).
Poi, quasi di colpo, quando ha ormai elegantemente fatto intuire l'orrore, decide di sbatterlo in faccia allo spettatore con una scena di forte impatto, dove temi come stupro, incesto e prostituzione minorile fanno capolino di prepotenza; la scelta è prettamente stilistica e ha un suo senso nell'economia del film, non necessariamente migliorandone il tono o generando un'escalation.
Laddove emergono evidenti analogie con “Kynodontas” (la provenienza geografica e culturale, il gelido e livido ritratto di una famiglia sotto lo scacco di un capofamiglia despota, lo sguardo aperto sbrigativamente inquadrabile come pessimista e parossistico), vanno anche sottolineate le differenze col film di Lanthimos: “Miss Violence” è assai meno metaforico, più ancorato al reale, anche un filo più didascalico e a suo modo grezzo, solo parzialmente legato al tema della soggiogazione e improntato ad indagare morbosità e complicità delle violenze domestiche.
Avranas rischia fin da subito con la tremenda e riuscitissima sequenza iniziale e resta minimale fino alla suddetta svolta del film, affidando un carico importante sulle spalle di Themis Panou, attore di teatro (e per di più di commedie) monumentale nel dare vita non ad un semplice “orco”, ma ad un complesso individuo a due facce, il cui lato peggiore emerge gradatamente; rischiosa e variegata è anche la colonna sonora, in bilico fra Leonard Cohen, Toto Cutugno e il neo-dance-pop, ma è sicuramente azzeccata.
Ancora una volta i sottotesti di un film ellenico tendono ad essere travisati, generalmente per colpa di un'inclinazione a strumentalizzare la crisi economica greca e a confondere la causa con l'effetto: le allusioni di “Miss Violence” sono principalmente sociali, non politico/economiche. Rimandando alla crisi (ma di valori morali) e alla struttura patriarcale, Avranas non parla nello specifico della Grecia, bensì prende spunto da un fatto reale (avvenuto in Germania, peraltro) per indagare le connessioni fra un nucleo familiare e il tessuto sociale in rapporto alla violenza. Ne esce con onore, dimostrandosi anche furbo e già con le idee chiare, facendo ben sperare in questa nuova ondata di cinema greco.
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