Regia di Gianfranco Rosi vedi scheda film
FESTIVAL DI VENEZIA 2013 - VENEZIA 70
L'idea era allettante: quella di perdersi in una intricata e contorta striscia di asfalto, il "grande raccordo anulare" romano appunto, simbolo da una parte dell'inevitabilità di soluzioni che lasciano da parte l'estetica e la bellezza per affrontare con efficacia i problemi pratici legati alla viabilità e allo scorrimento, tematiche del tutto inevitabili per assicurare la circolazione in centri nevralgici come il presente; dall'altra del degrado delle periferie a vantaggio dei centri urbani protetti e resi belli, a favore dei quali si pongono questi "mostri necessari" (penso allo stesso modo alla mia più familiare, contestatissima ma "inevitabile" sopraelevata genovese). E dunque perdersi nel vortice stradale di chissà quanti chilometri ed uscite, raggiungere quell'umanità che in quel posto ha scelto o si è trovata a vivere per necessità. Il documentario funziona quando incontra sprazzi di vita che si affacciano sulla via, quando documenta i disagi di una nevicata senza precedenti di pochi inverni orsono, quando spia da una finestra certi attimi di vita di palazzi a ridosso del'arteria trafficatissima, che sopportano oltre al rumore della strada anche quello degli aerei in fase di decollo od atterraggio (ma la storia più insistita, quella del padre smilzo e della figlia al computer mi sembra davvero troppo macchiettistica e costruita, quindi improbabile anche per i ruoli assegnati ai due personaggi che non sembrano affatto veri o credibili, ma invece molto recitati). Poi infatti il film sconfina in posti che, per chi come me non conosce il raccordo, non appaiono fondamentali per caratterizzarlo: un pescatore di anguille nel suo habitat di raccolta, un pacchiano proprietario di villa noleggiata ai set dei fotoromanzi, le prostitute che anziché apparire come loro stesse (al pari che nel film d'esordio di Garrone) recitano una parte come in una fiction; e ancora il cimitero e quei corpi disseppelliti...insomma sembra che il pur bravo regista sia andato alla fine fuori tema. Come se il film si fosse deciso a tavolino azzeccando un titolo evocativo e accattivante e tracciandoci sopra tutta la storia. Peccato perché alla fine tutto risulta inevitabilmente accatastato e ammucchiato un po' a caso, e prevale un macchiettismo che suscita spesso nel pubblico risate non proprio consone all'atmosfera che il film a mio avviso si prefiggeva.
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