Regia di Nikita Mikhalkov vedi scheda film
Un appassionante dramma metacinematografico ambientato ai tempi della Guerra Civile Russa e diretto con maestria da Nikita Mikhalkov.
Russia, Autunno 1918: la Guerra Civile è scoppiata e le Guardie Bianche lottano ferocemente per arginare l'avanzata dei Bolscevichi, i quali hanno appena conquistato Mosca. In Crimea le truppe reazionarie tengono ancora sotto controllo la zona, perseguitando gli abitanti sospettati di appoggiare i rivoluzionari. In questo clima precario e surreale, una sgangherata troupe cinematografica vive come in una bolla cercando di terminare le riprese di un melodramma intitolato "Schiava d'amore", con la partecipazione della stella del cinema muto Olga Voznesenskaja. Nel frattempo l'operatore Viktor Potockij, in realtà un rivoluzionario clandestino, con la scusa del “difetto di lavorazione” utilizza la pellicola scartata per fare delle riprese di nascosto sulle violenze commesse dall'Armata Bianca, allo scopo di favorire la propaganda rossa. Sarà proprio Potockij, innamoratosi di Olga e da lei ricambiato, a coinvolgerla negli epocali e terribili eventi della Rivoluzione Russa, sino ad un finale tragico...
Sorprendente esperimento metacinematografico, il film di Nikita Mikhalkov ha attraversato una lavorazione che ricalca in maniera paradossale le vicende narrate. Proprio come il "film nel film", trattasi di un lavoro accettato e modificato in corso d'opera, riscrivendo la sceneggiatura e centelinando il budget rimasto durante le riprese. Da qui lo spunto per ragionare sul cinema e le sue illusioni, in un'identificazione tra la morente borghesia russa, la cui paralisi esistenziale si riflette nella loro compiaciuta autocelebrazione su celluloide, e i sogni, le fantasie irreali e il mondo fuori dal tempo rappresentati sul grande schermo. Tutto è finzione, si stenta a credere alla fine di un mondo ritenuto immortale e immutabile. La troupe passa così il tempo fra sterili battibecchi, oziose pause in giardino e un totale disinteresse per la barbarie in atto a pochi chilometri da loro. Ma è proprio questo distacco forzato e ostentato che mostra il decadimento inesorabile e la patetica impotenza di una società senza pù alcun futuro. La narrazione è permeata da una tenue malinconia, squarciata dalle sempre più frequenti intromissioni della violenza che avviene a pochi passi dalle riprese. Già l'incipit ci mostra una sala in cui si proietta un melenso melodramma in bianco e nero, interrotto dall'irruzione tempestiva dei bianchi in cerca di un bolscevico clandestino, altrettanto tempestivamente malmenato e caricato di peso in macchina. O le via via più minacciose visite del capo del controspionaggio bianco sul set, sempre alla ricerca di informazioni su possibili sospetti.
Ma vi è anche il sentimento che irrompe prepotentemente nella Storia e viene a sua volta messo a tacere dagli eventi: lei, attrice famosa e primadonna capricciosa; lui, rivoluzionario clandestino e consapevole del mutare inarrestabile del mondo. Il desiderio di Olga di vivere la passione travolgente per Viktor proprio come in uno dei drammi da lei interpretati si scontrerà con la tremenda realtà della guerra civile e, dopo aver assistito alla barbara uccisione del proprio amato, si ritroverà sola, a bordo di un tram senza guida e inseguita a cavallo dai bianchi, con la strada di fronte a sè celata dalla nebbia. Uno dei finali sospesi più tragici, precari e poetici che io abbia mai visto.
Nikita Mikhalkov ha diretto uno splendido film, malinconico e struggente, sulla precarietà dell'esistenza e sulla caducità del presente, ben calato in uno dei contesti storici più terribili e allo stesso tempo più affascinanti di tutti i tempi, formalmente perfetto (merito di una curatissima fotografia dalle sfumature crepuscolari e di una regia pacatamente onirica) e interpretato alla grande da Elena Solovej, Rodion Nachapetov e Aleksandr Kalyagin.
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