Regia di David Mackenzie vedi scheda film
I film a sfondo carcerario sono stati così numerosi che per collezionarli tutti occorrerebbe un intero scaffale di una capiente videoteca domestica. Alcuni tra essi sono veri e propri capolavori, o comunque opere straordinarie e famosissime: senza scervellarsi per farsene tornare alla memoria decina di esempi opportuni ed esemplari, così a memoria e di getto titoli come Papillon di Schaffner, Fuga da Alcatraz di Siegel, Fuga di mezzanotte di Alan Parker, A 30 secondi dalla fine di Koncalowskij, l'uomo di Alcatraz di Frankenheimer sono indicativi di come l'argomento sia riuscito a stimolare ottimi registi per altrettanto ispirati capisaldi della cinematografia.
David Mackenzie è un regista che conosco piuttosto bene, avendo fino ad oggi visto quasi tutte le opere per cui ha curato la direzione: scorrendo queste sue fatiche (il fosco Young Adam, la trasposizione di Follia, dal miglior McGrath, il malizioso Toy Boy, e il thriller Perfect sense), non ne emergono forse i tratti distintivi di un genio: ma certamente quelli di un cineasta eclettico e mediamente affidabile, in grado di riservarci più sorprese che delusioni.
L'epopea carceraria del giovane diciannovenne Eric, una vita trascorsa tra un orfanotrofio e una prigione per adolescenti, ci viene presentata da quando il ragazzo viene condotto in un carcere di massima sicurezza dove viene rinchiuso per aver quasi ucciso un altro uomo. In quel microcosmo è rinchiuso pure il padre, che il giovane non vede da una dozzina d'anni, e che ivi sconta l'ergastolo.
Il ritrovarsi tra i due innesca in entrambi, il giovane ribelle ed incontenibile, il padre più calmo ma non meno letale, sentimenti antitetici che spaziano dal desiderio di ristabilire le basi minime per una ricostituzione di un dialogo, alla rivendicazione di vecchi torti subiti o rimorsi per comportamenti od omissioni giudicati imperdonabili. Intanto in quella giungla di sbarre di acciaio e di cemento grezzo si consumano vendette atroci e sanguinose e si architettano piani che possono divenire letali, proprio perché orditi da parte di chi la legge e la giustizia dovrebbe assicurarli.
“Les poings contre les murs”, questo il titolo con cui l'opera è stata distribuita i giorni scorsi nelle sale francesi, è un film riuscito, teso, schietto e funzionale, che parla di cose, situazioni, drammi e violenze efferate forse già viste, proposte, assimilate: ma lo fa tuttavia con perizia e mestiere, senza mai ripetersi a vuoto o comunque senza risultare risaputo, scontato né tantomeno noioso.
Tra gli attori coinvolti, Jack O'Connell è un giovane interprete già completamente svezzato e qui molto convincente nel ruolo del tormentato e pericoloso protagonista, tutto nervi e scatto fisico; così come non risulta da meno l'australiano Ben Mendelsohn, che ci piace e ci turba per quella sua tranquilla ma inquietante espressione compita e riflessiva da guru, calmo ma micidiale, rilassato ma letale, in grado di fulminarti con la forza di uno sguardo.
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