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Ida

Regia di Pawel Pawlikowski vedi scheda film

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La recensione su Ida

di OGM
8 stelle

La vita è là fuori. O forse, no, è dentro di te. Può darsi che davvero il mondo non abbia più nulla da offrire, se non le solite rituali illusioni che si fanno chiamare normalità, e che pretendono di significare crescita:  andare avanti, quando alle spalle c’è soltanto il nulla. Ida è stata allevata in un convento, e non sa nulla di ciò che è stato. Ignora perfino la sua vera identità. E nemmeno pensa che, a questo riguardo, ci si debba porre delle domande. La sua strada sembra segnata con definitiva chiarezza: un futuro da suora, il noviziato, poi la pronuncia dei voti perpetui. Se non fosse per quella zia Wanda, l’unica parente che le sia rimasta,  e di cui un giorno la madre superiora le rivela l’esistenza, invitandola ad andarla a trovare. Quella donna è il suo legame con la sua storia, il laccio che la trasporta dentro una realtà sconosciuta, alla quale nemmeno immaginava di appartenere: una realtà  fatta di guerre, di politica, di rivoluzioni, di odio, di varie debolezze umane. Non ci sono i colori, con i loro gioiosi contrasti e le loro benevole sfumature, a riempire un quadro così duro e desolante. Il bianco e nero è la composizione cromatica che più fedelmente ne restituisce i contorni netti e freddi, incapaci di mescolarsi al fine di attenuare l’impatto con la cruda sostanza delle cose. Ida ha il volto pallido, una veste dalla tinta quasi candida: si direbbe un’icona mariana, al centro della quale spiccano due grandi occhi neri, spalancati a tratti con estatica rassegnazione, a tratti con imbelle stupore, su un universo che le impone le sue inspiegabili traversie, i suoi inestinguibili rancori. Ida ha degli splendidi capelli rossi, che però nessuno può ammirare. Sono mortificati dal velo monacale, ma, ancor prima, dal grigiore imperante che soffoca sul nascere il fiammeggiare della natura, dal fuoco della passione al calore dell’affetto familiare. L’amore è convenzionale, quando non è mercenario. Il sangue non scorre più nelle vene, è stato versato e poi nascosto sotto terra. La carne è morta, ed il suo richiamo è diventato flebile, come una voce antica, che col tempo ha perso ogni vigore, ogni freschezza, e la cui credibilità è stata gravemente intaccata dal ruvido contatto con troppe scabrose evidenze.  Quell’eco non riesce a trarre forza nemmeno dal fatto di rimbombare in uno spazio vuoto,  creato dalla perdita di tutto, delle persone care, delle idee, delle certezze. È finita la Polonia in cui credeva Wanda. Ed anche quella in cui sua sorella e sua nipote potevano vivere tranquille, portando pubblicamente quel cognome in fondo così comune, terminante in stein. Adesso esiste solo la falsa libertà dei superstiti, che niente hanno avuto, né mai potranno avere, se non l’insulso conforto di avere salvato la pelle. Questo film ci conduce attraverso il racconto di una ricerca che parte dall’assenza, per andare incontro alla sua conferma, trovata scavando con le nude mani nei deserti dell’anima. Ciò che inizia col nulla, al Nulla ritorna, carico, però, di una nuova consapevolezza, conquistata sul campo di una battaglia già conclusa, e  della quale è ormai svanita la memoria.   

 

Ida è stato selezionato come candidato polacco al premio Oscar 2015 per il miglior film straniero.

scena

Ida (2013): scena

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