Regia di Pawel Pawlikowski vedi scheda film
La poetica del rigore.
In poco più di 80 minuti l’anglo polacco Pawel Pawlikowski, anche sceneggiatore insieme a Rebecca Lenkiewicz, traccia una parabola di redenzione e storia di formazione di purezza esemplare. Polonia anni ‘60 le macerie umane della seconda guerra mondiale fumano ancora lasciando ricordi incompiuti mai elaborati del lutto che li ha generati. Le persecuzioni sugli ebrei echeggiano ancora nella cattolica e pacifica nazione.
Ormai il bene e il male ha contorni sempre più netti. All’interno di questa pace ritrovata la novizia Ida (Anna il suo vero nome) che ha il volto pulito di Agata Trzebuchowska, alla vigilia dei voti, intraprende un road movie lento e avvolgente alla ricerca dei propri confini, morali, sentimentali, spirituali.
La compagnia è quella della zia Wanda (Agata Kulesza), alto magistrato polacco, donna importante e dal ruolo rispettato ma al contempo slabbrata nell’esistenza da una promiscuità sessuale distruttiva e da un alcolismo strisciante. Metafora della decadenza dei pilastri di una società nella quale i principi morali etici e sociali sono stati mortificati dalla guerra. Le due donne sono i due stati contrapposti della materia, la novizia, spirituale e terrea, e la zia, concreta ma evaporata nel vizio troveranno risposte ai loro fantasmi acquistando nel breve tempo del loro incontro un reciproco rispetto e affetto. Ida è ebrea e i genitori sono stati brutalmente uccisi durante la repressione cristiana. Ebrea e cattolica, divisa tra la i voti e il vuoto esistenziale della mancanza d’amore.
Ida (2013): Agata Trzebuchowska
La lezione di Pawlikowski è esemplare, ferma, la ricerca del passato si fonde con la necessita di provare l’emozione della vita prima della scelta che quella vita segnerà per sempre. La fermezza di Ida è formidabile, così come la messa in scena, prosciugata di qualsiasi ridondanza, espressa in un bianco e nero pulito e compatto nei forti contrasti. La forma è l’espressione dell’animo di Ida che non ha zone grigie, non esistono ambiguità nel suo essere perché non se le può permettere. Così il rigore formale accompagna il romanzo di formazione della novizia attraverso un mondo fino ad allora sconosciuto ma al contempo percepito con una lucidità propria solo dei puri di cuore.
E’ la forma che rende questo film importante. Il rigore della vita e della morale di Ida è compresso nell’austero formato 4/3. Al suo interno il contenuto febbrile della ricerca dell’identità, l’importanza della memoria, le radici perdute. Cocci di vita in frantumi, riattaccati alla meno peggio. La Polonia è ritratta come un patchwork in costruzione, dove convive lo spettro della guerra echeggiante nella persecuzione razziale, con la modernità della musica, della società che si libera dalla cenere e cerca di vivere.
La scelta di Ida è una scelta di fede dopo una scelta di vita. Tra l’amore terreno e l’amore spirituale il suo volto pulito sembra alieno al mondo che la circonda. Una bellezza antica, che raccoglie nella tranquillità dei tratti e nella fermezza dello sguardo la dignità di un popolo intero disperso tra le macerie di un’epoca che ha vomitato follia. Ida è il punto da cui ripartire: è la sostanza nella disgregazione, l’amore tra i tradimenti, la spiritualità tra i cocci. Una lezione silenziosa di morale senza essere moralista. Ida è soprattutto grandissimo cinema.
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