Regia di Pawel Pawlikowski vedi scheda film
La giovane Anna contrae i grandi occhi scuri sulla statua di Cristo, percorrendone la superficie con meticolose pennellate. A breve prenderà i voti, ma prima deve incontrare l’unica sua parente ancora in vita: una zia che le rivela la sua vera identità. Anna si chiama Ida, è orfana di genitori ebrei, attraverserà la Polonia alla ricerca degli amabili resti della sua famiglia. Scontrandosi con i retaggi odiosi di una terra ferita e ancora impregnata di grigio: contraddittoria, vacillante tra l’istinto di piacere stordente e il fantasma dell’antisemitismo. Romanzo di formazione in formato 1.37:1, dramma intimo poetico politico, Ida non cerca compromessi tra il rigore stilistico e il materiale umano. Scegliendo una forma, decisa e immobile, che sorpassa e fagocita la sostanza, magmatica e ineffabile, dello scavo psicologico: camera fissa e corpi ai margini di architetture e mascherini, immersi in una bicromia di luminosità abbacinante. Ida è film di contrasti esposti. Road movie fieramente austero, dove l’attenzione per la composizione dell’immagine diventa tramite, disarmante ma infine insufficiente, dell’anima (una tenda arrotolata come bozzolo di crisalide, una sala da ballo pavimentata a scacchi). Affidando ai due personaggi femminili una opposizione recitata in sottrazione: impressa nello sguardo liquido della ragazza e in quello oramai arreso della donna, la cui figura licenziosa e disperata è anticipata dal primo alito di musica. L’ultimo sguardo concede l’unico respiro di autodeterminazione, una marcia in senso contrario filmata in movimento.
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