Regia di Juan Taratuto vedi scheda film
Eduardo è un uomo indifferente e solo. Una chiazza arancio sporco in simbiosi con un’auto polverosa che non si ferma davanti all’immensità del paesaggio invernale, né di fronte alla gravità di un incidente capitato sulla sua strada. Autoconfinatosi nell’impianto petrolifero dove lavora, è costretto a tornare nel mondo quando un vecchio amico gli chiede aiuto.
La permanenza nella casa dell’uomo, con la sua famiglia, è già una visita di cordoglio: un sentimento che Eduardo ha sepolto insieme a tutte le altre conseguenze dell’umanità. Juan Taratuto ce le fa scoprire poco a poco, accanto al suo protagonista che supera gli intralci sfondando i vetri delle macchine, ma resta fermo sulla soglia di una porta d’ospedale, lungamente socchiusa, a osservare un dolore espresso in forme che ci mettono a disagio e lo mettono in discussione. Lo sguardo del regista non affonda mai nelle ferite malamente cauterizzate, che avranno la loro medicazione tangibile e il loro balsamico riscatto fin troppo programmatico: piuttosto dà alle cose il tempo di accadere, perché come dice Eduardo (Diego Peretti, interprete di pochissime parole compensate dalla profondità di sguardo), le cose succedono e poi passano. Il film passa con la lentezza necessaria alle emozioni per rigenerarsi, lasciando parlare i corpi nell’interazione brusca o fragile con gli oggetti, affidando a pochi tratti - i posti occupati dalla famiglia in auto, i gesti cauti della comprensione - la descrizione, piana e austera, di una rinascita.
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