Regia di Daniele Gaglianone vedi scheda film
Pigneto, Roma. Finzione e realtà: Valerio Mastandrea interpreta un professore di italiano in una classe di veri immigrati. Quando a uno di questi scade, sul serio, il permesso di soggiorno la scena s’apre al retroscena, le problematiche reali entrano nel film, e quelle aperte dalla fiction finiscono in secondo piano, rimangono sospese, perse. Così La mia classe, scioccato dal reale, finisce per abiurare al realismo d’impegno del cinema civile e borghese, della retorica emotivamente ricattatoria, del sentimentalismo che risolve comodamente questioni sociali in questioni personali. Contiene tutto questo e verso tutto questo è insofferente. In un prodotto medio d’autore italiano, per esempio, la malattia del protagonista sarebbe stata il tramite per accompagnare l’immigrato verso lo spettatore: perché se l’altro comprende il nostro dolore, noi possiamo comprendere il suo. Ma di fronte all’incontro brutale con la realtà, La mia classe scosta la retorica narrativa, le comode visioni del mondo da un oblò. Non è più un facile film politico sull’immigrazione. Ma è un film che si chiede come agire politicamente nel mondo, come affrontare un problema preciso, e come filmarlo. Non è più la versione italiana di La classe di Cantet, un aggiornamento del Diario di un maestro di De Seta. È una visione preconfezionata, quella del cinema d’autore engagé, che si mette cupamente in discussione come in un Godard settantesco, è un film giocoforza irrisolto perché è una domanda costante, un processo dialettico a se stesso.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta