Regia di Fausto Brizzi vedi scheda film
Indovina chi viene al cinema, a Natale. La solita variopinta pattuglia di allegre commediole schierate in gran quantità a protezione della sacralità festiva per eccellenza.
Altro che desolazione di Smaug: ad essere desolante è il panorama italico. Poi s’offendono se ne parli male e t’additano come uno snob esterofilo.
A dar man forte - tanto per restare in tema con una delle “gag” ricorrenti - accorre l’impavido Fausto Brizzi. Un flagello. Non solo per la cinematografia bensì per l’umanità intera. Si scherza, eh. Ah, che ridere.
Ridere non fa, ma manco per sbaglio o per caso o per bontà divina, Indovina chi viene a Natale?: è una roba incredibile, che non si riesce a mandar giù. Vecchia come un panettone scadente scaduto da una trentina d’anni, forzata - e forzatamente allegra - come una recita parrocchiale, triste come un comico che si suicida perché non sa far ridere, mielosa come la puntata finale di una telenovela sudamericana, pesante come una fottuta ammorbante canzoncina natalizia che passa in radio - e in tv, in rete, ovunque - ogni due minuti, falsa come (un falso) giuda, impresentabile e improponibile come molti rappresentanti delle nostre istituzioni, retorica come una frase (stra)fatta infarcita di stereotipi e minchiotipi.
L'indigesta paccottiglia, con la figura dell’invalido Raoul Bova e le conseguenti dinamiche relazionali, ha finanche pretese sociologiche, come nella più alta tradizione delle commedie intelligenti che sanno essere divertenti e al contempo argute, in grado di far riflettere. Pretese folli e fallaci, perché la tiritera facile facile sulle disabilità è una moralina d’accatto, lo sguardo (e la scrittura di personaggi e scenette) è d’una puerilità sconcertante, e l’espediente - ché di questo si tratta - è soltanto un pretesto per far casino e darsi un tono.
Ma quale tono, se tutto è un insieme stonato sformato sfocato di cose vite straviste riciclate ripescate riverniciate (tanto da abbracciare impudentemente la blasfemia visti i nobili, peraltro dichiarati, richiami), e per giunta senza neanche tanto star lì a curarsi del risultato?
Bellamente racchiusa tra l’iniziale mesta messinscena alla zecchino d’oro e una superbeata conclusione con tanto di pantomima innevata sotto il sole raggiante/accecante del volemose bene, l’opera del provvido Brizzi accumula “risorse” prevedibili mettendole in gioco in maniera del tutto prevedibile (e confortante, rassicurante, riconoscibile). E così Abatantuono fa l’(orco tuonante ma in fondo buono) Abatantuono, Bisio fa il (simpatico clown sfigato bersaglio dei partner di palco) Bisio, Claudia Gerini fa la (panterona) Gerini, Proietti fa (quello che fa l’apparizione “speciale”) Proietti, e così via per tutte le facce/maschere note (da salvare giusto la Capotondi in virtù della sua bellezza), frequentatori più o meno abituali del genere.
"Genere" che nel prode Brizzi sta trovando un suo degno alfiere.
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