Regia di Apichatpong Weerasethakul vedi scheda film
La Thailandia e il sogno individuale del passato. Apichatpong Weerasethakul filma il ricordo della sua città natale, Khon Kaen, riprendendo gli effetti ottici delle fantasie oniriche, discontinue, incoerenti, sfocate: un collage di istantanee scattate dalla mente immersa nel sonno, un caleidoscopio di immagini frammentarie e instabili, che si accalcano nervosamente sul proscenio della coscienza, e a tratti escono dal quadro o perdono i colori. Il regista ama posare lo sguardo sulla superficie delle cose, illudendoci che possa fermarsi lì, alla contemplazione dell’apparenza: in realtà il silenzioso indugio dell’osservazione o, come in questo caso, l’affannosa frenesia dell’esplorazione trasformano l’immobilità in una pulsazione vitale, in cui riecheggiano i richiami primordiali della terra. La magia universale può essere racchiusa in un istante colto al volo, fugace come una momentanea suggestione notturna: il buio è, d’altronde, per Weerasethakul, la naturale sede della rievocazione, del superamento delle barriere temporali, dell’incontro con l’invisibile, con ciò che vive nell’aldilà. Qui l’approccio al mistero segue il dinamismo della folgorazione, dell’intuizione indistinta, che pure vibra di autenticità, come i flashback inattesi. Quei lampi della memoria si rincorrono sullo schermo con la concitazione che, nei periodi di crisi, caratterizza la ricerca della propria verità interiore. Apichatpong, per un attimo, dubita: vorrebbe smettere di girare film, per dedicarsi alla pittura. I fotogrammi di questo cortometraggio sono come sequenze disegnate e poi ritagliate, bozzetti di visione consegnati al flusso caotico, eppure appassionato, dei pensieri nostalgici. Un uomo porta a passeggio il cane lungo una strada di campagna. Ad introdurre il discorso è una scena che sa di casa, di affetti familiari, di periferie del mondo in cui abita una forma semplice di intimità: una convivialità un po’ selvaggia, che attinge al mito una grandiosa energia creativa, instancabile generatrice di multiformi fantasmagorie. Ashes è un omaggio alla metamorfosi come modalità primaria dell’indagine cosmologica, che qui si cala nell’ambito ristretto ed esclusivo della riflessione personale: un piccolo tributo ad una poetica che, per una volta, abbandona la dimensione universale per invadere l’anima con il suono ritmico delle sue domande ripetute all’infinito.
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