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Class Enemy - Nemico di classe

Regia di Rok Bicek vedi scheda film

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La recensione su Class Enemy - Nemico di classe

di logos
8 stelle

Film sistema, che ci parla degli equilibri squilibri di una scuola-Slovenia che faticosamente cerca con uno spirito politicamente corretto di nascondere le proprie contraddizioni, nelle quali si riflettono anche quelle storiche di una nazione ancora in bilico. Ma la scuola, del resto si sa, è il luogo elettivo in cui si riproducono le contradizioni di un sistema, perché, come diceva Althusser, essa fa parte degli apparati di riproduzione ideologica. Quale organo di riproduzione ideologica, la scuola di cui stiamo parlando, però, non presenta un potere disciplinare repressivo, anzi, sembra che il corpo docenti faccia di tutto per preparare le giovani generazioni a evitare il principio di realtà, con continue negoziazioni al ribasso, dove gli allievi vengono per così dire supportati; con tanto di servizio psicoterapeutico e con docenti che ruotano intorno a loro come satelliti, che pur di essere umani, troppo umani, hanno col tempo perso il concetto di Bildung, quale formazione dell’uomo umano, per optare per una pragmatismo attivistico, che tutto sommato accontenta tutti, ma senza alcuna elevazione abissale.

 

A rompere le uova nel paniere, è l'ingresso di un insegnante di lingua tedesca, Robert Zupan, per sostituire un'altra insegnante che va in congedo per maternità. Tutto diverso dalla docile insegnante che sostituisce, si presenta subito con un tono severo, intento a spiegare ai ragazzi il perchè si debbano alzare in presenza dell'insegnante; non è solo una questione di vetusta reverenza, ma un atto rituale, che apre la lezione ed esorta alla concentrazione. Non solo; fissato con il grande letterato T. Mann, a lezione parla solo in tedesco, e non fa sconti alla classe, anzi la ritrova a corto di apprendimento, perciò attualizza una didattica e una pedagogia che vuole essere di sprono per questa generazione, affinché, attraverso la fatica del concetto, vada al di là dell’immediatezza in cui si trastulla e possa realizzare le sue potenzialità umane. Ma i suoi metodi non sono comprensibili, appaiono alquanto severi e freddi, soprattutto in occasione di un confronto con una allieva, Sabina, già fragile per conto proprio, alla quale il docente si rivolge per dirle che ha dentro di sè potenzialità, che si manifestano nel suo modo di suonare il pianoforte, e che sta a lei la scelta di coltivarle o, altrimenti, di diventare una perdente. Qui il professore intrattiene un coloquio che avrebbe potuto sortire un effetto positivo nella giovane, anche perchè il professore è davvero colpito dal modo in cui Sabina suona il pianoforte. Ma non le riconosce fino in fondo quel egli prova per sè sentendo quella musica, e si limita a un approccio paternalistico, limitandosi a un aut aut che se da una parte si contrappone al piattume pragmatico, dall'altra è un intervento morto, rigido, di un idealismo alienato, che interrompe la mediazione del dialogo.

 

Sabina una scelta la compie, non certo quella che ci si aspetta, ma è pur sempre una scelta, quella di togliersi la vita, distinguendosi da una generazione che invece non sa scegliere, ma rimane in un limbo fatto di belle maniere e di dolori rimossi. Immediatamente, il professore di tedesco diventa il capro-espiatorio della scuola, con la complicità velata di quasi tutti i colleghi, nel loro silenzio-assenso, monitorati da una preside che cerca di dare un colpo alla botte e uno al cerchio, per evitare uno scontro aperto tra gli allievi e l’insegnante. L’insegnante dovrebbe fermarsi, cercare di capire i motivi di smarrimento e di desolazione nella classe, emersi dal suicidio di Sabina, e a modo suo lo fa, solo che non viene compreso, perché anche se tenta di parlare con questi ragazzi,  non tenta minimamente di sospendere le lezioni (la vita continua), le modifica in modo che i ragazzi riflettano su quello che è successo e non a caso invita la classe a compiere un tema di riflessione su un’affermazione di T. Mann, secondo la quale la morte di una persona non riguarda lei stessa quanto piuttosto i  congiunti. La misura è colma, la maggiorparte della classe se ne va indignata, e organizza una protesta in cui riversare la rabbia contro il sistema scolastico in generale, che non si ferma di fronte al suicidio, che tratta gli allievi come numeri, per poi concentrarsi contro lo stesso docente Zupan, che diventa la causa di quel suicidio, ma anche la causa determinante dello stesso sistema scolastico oppressivo, perché con la sua presenza si è interrotto il dialogo tra allievi e docenti, perciò gli viene affibbiato persino l’appellativo di nazista.

La preside esorta gli allievi a chiedere scusa, ma non lo fanno, anzi boicottano le lezioni di Zupan. In più si presentano a viso coperto, con una maschera raffigurante il volto di Sabina. Ma per tutta risposta il docente fa leggere a un’allieva il tema compiuto sul senso della morte e si indossa anche lui la maschera. È una scena straziante. Che cosa significa? In tale frangente mi è venuto in mente un altro film molto diverso da questo, L’attimo fuggente. Anche in quel film c'era un insegnante al di là delle regole convenzionali, e cercava di indurre i ragazzi a porsi in un’altra prospettiva, per scorgere nuove aperture del mondo. E Zupan con tale gesto, indossando la maschera raffigurante il volto di Sabina, cosa vuole significare? E’ un segno di sfida o di un possibile ponte comunicativo? Magari entrambi le cose, fatto sta che la ragazza legge il suo tema, bellissimo e lucido, in cui afferma il senso di smarrimento e rabbia per la decisione definitiva della sua coetanea, un tema che, proprio perché è scritto, dovrebbe avere per l’autrice ma anche per la classe intera un effetto catartico, anche perché mentre viene letto tutti sono coperti con quel volto di Sabina, quasi come un rituale di commemorazione che varrebbe molto di più delle sfinite e magre consolazioni delle sfiancante psicoterapeuta in pianta organica, e invece… Niente! Non solo la classe non comprende il senso straziante e catartico di quel tema, ma addirittura se la prende con l’autrice, come se non fosse in grado di mantenere la linea di ostilità contro il professore. C’è infatti anche questo aspetto che va considerato nell’economia generale dell’opera: la classe, i docenti, l’intero nucleo scolastico è tutto percorso da lacerazioni al loro interno. Il gruppo classe è diviso, perché non tutti sono ostinati allo stesso modo contro il docente, per cui si formano gruppi contro gruppi, litigi interpersonali che arrivano persino alle mani. Tra i docenti, in linea generale, vi è complicità contro il loro collega, ma vi è anche chi coraggiosamente prende le sue difese, direttamente contro la stessa preside, che a sua volta non può più essere soltanto dalla parte dei ragazzi, ma deve prendere una posizione per proteggere la scuola, di fronte sia alla rabbia dei ragazzi, ma anche delle famiglie iperprotettive. Quindi la regia si allarga, dalla figura del professore tedesco quale capro espiatorio e la correlativa tematica del suicidio dell’allieva Sabina, passa in esame le diverse pedagogie in conflitto, quella della scuola da una parte, del professore di lingua tedesca dall’altra, fino a interrogarsi, in modo indiretto, ma essenziale, sulla condizione irrisolta dell’intera Slovenia.

 

Il conflitto tra una pedagogia morbida, presentata dalla scuola, funzionale ai bisogni immediati dei ragazzi, e una pedagogia come quella del professor Zupan che pone al centro la libertà, intesa come dover essere nella scelta responsabile, che realizza le potenzialità umane, a prescindere dalle contingenze: si tratta di un conflitto inestricabile, tra due pedagogie che non possono comprendersi; da una parte vi è l’attenzione al contesto, al buon andamento del gruppo, dall’altra, invece, abbiamo una pedagogia basata sui valori, in qualche modo arrogante, troppo spirituale e spettrale, perché di quale umanità vogliamo parlare? esiste un’umanità? Non è questa, anche questa, l’umanità, una terribile astrazione, grazie alla quale ci si può inventare qualunque idealità contro l’istanza incommensurabile di quel singolo individuo? D’altra parte il pragmatismo non può aspettarsi di educare, perché ogni suo tentativo è quello di mantenere una dimensione levigata, politicamente corretta, che diventa con ciò autoreferenziale, completamente inadeguata di fronte alla crisi e ad ogni crisi. Perciò, e passiamo al secondo punto, di quale pedagogia avrebbe bisogno una scuola che rispecchia le crisi non ancora risolte della nazione slovena? Forse una coltre di occidentalismo per nascondere ancora di più le sofferenze subite dalle divisioni non sanate? oppure un ripensamento di quelle sofferenze con occhi vigili, che sappiano guardare nell’abisso della storia? Ma come è possibile tutto ciò in una nazione ancora instabile, che fa fatica a trovare la sua direzione, tale per cui “gli sloveni quando non sono occupati ad ammazzarsi fra loro, si suicidano”?

 

In questa affermazione, detta per caso da uno studente di provenienza straniera, mentre assisteva ai diverbi del gruppo classe, c’è forse tutta la chiave del film: ciò che ci viene presentato, attraverso il professore capro-espiatorio, il suicidio di Sabina, una scuola che non è in grado di fare i conti con le proprie frustrazioni ecc.., è proprio la Slovenia nella sua dimensione storica e contemporanea, nella sua crisi senza soluzione, e pertanto, ritornando nel film, non c’è il buono da una parte e il cattivo dall’altro.

 

In un una visione meno immediata non c’è la possibilità di difendere i ragazzi contro il professore o viceversa, o di difendere l’istituzione scolastica e gli adulti contro le nuove generazioni o viceversa. Ogni lato ha le sue crepe e in qualche modo rispecchia il suo opposto. I giovani appaiono nella loro inettitudine, non sanno dare un senso alle loro emozioni, se vengono interrogati sulle loro opinioni circa il senso della vita o sul perché T. Mann non andò al funerale del proprio figlio suicida, non sanno che dire, si scandalizzano, perché sono domande non prescritte dal programma, la cui risposta non è prevista o contenuta nei libri di testo. Ma di fronte a questi giovani che non sanno esprimere un’opinione, anche il professore ha le sue pecche, le sue rigidità e inettitudini: vive in un mondo tutto proprio, non socializza neanche coi colleghi, ed è profondamente un gretto conformista pragmatico quando fa presente alla classe, senza essere udito da alcun collega, che la formazione della classe ad oggi sarebbe stata migliore se l'avesse diretta egli stesso sin dal primo anno. Gretto perché ciò sottovaluta e anzi squalifica il lavoro dei colleghi precedenti, cosa che un professore non dovrebbe mai fare; ma tale comportamento arrogante, di supremazia, è lo stesso che adottano i capocci del gruppo classe, che vogliono contendersi il potere carismatico. Tutte queste contraddizioni le ritroviamo nel consiglio di classe, con genitori iperprotettivi che si preoccupano soltanto del loro proprio figlio, con una scuola e una preside che vogliono subito una soluzione per mettere tutto a tacere contro possibili scandali giornalistici.

 

Insomma, non se ne esce con il bianco e il nero, con un Si o con un No. E’ un film che con crudo realismo, con la giusta distanza scrutatrice dell’animo e delle dinamiche di gruppo intra e intergenerazionali, sa indicare, senza didascalismo, che, tra un si e un no, c’è tutta l’esistenza con le sue sfumature, simile a quella musica che si sente nell’aria, fino alla fine del film, quella musica che Sabina sapeva suonare, ma che ancora ha da essere ascoltata. Tutti la sfiorano quella musica. Il docente di lingua tedesca ne è attratto, ma in un senso paternalistico o, cosa ancor più drammatica, per una velata nostalgia verso una vitalità che in cuor suo reprime e non sa più esprimere e ributta contro i ragazzi parandosi dietro il suo tedesco; mentre quei ragazzi usano quella stessa musica come arma da produrre e rirprodurre contro il professore. Rimangono le sue note deserte alla fine del film come segnale di un qualcosa che non è bianco o nero, e proprio per questo è da pensare, come spunto di una riflessione sulla convivenza civile, sue sue possibilità, senza la garanzia che ci debba essere per forza una verità incontrovertibile da una parte o dall'altra...

 

scena

Class Enemy (2013): scena

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