Regia di Rok Bicek vedi scheda film
Gli illustri precedenti di film che hanno cercato di descrivere il mondo scolastico in piena crisi di coscienza formativa ed educativa, hanno generalmente denunciato un punto di vista limitato e circoscritto ad una componente che ne diventa protagonista. L'insegnante in genere viene preso meno in considerazione per presumibili motivi di richiamo verso il pubblico più giovane, gli studenti invece in quanto offrono un ben più vasto panorama esistenziale quanto mai negoziabile diventano quel polo di attrazione e di identificazione da parte della deresponsabilizzazione del pubblico, divisa fra giovani che ne leggono analogie e diversità e fra adulti che platealmente soppesano la propria figura sociale di genitori veri o mancati, di maestri di vita altre volte, detentori di saggezza insindacabile ma in ogni caso ben protetti dalla separazione di uno schermo e dalla possibilità di verificarla. Tutto però giocato in forme di confronto o di spaccato generazionale, anche talvolta ideologico, dove peraltro la scuola diventa un elemento scenico ambientale mescolato ad una realtà multiforme che tende ad appiattirne lo spessore formativo, a posizionare sottomisura la sua unicità. Neanche Elephant di Van sant (seppure l’ambiente scolastico era la rilevante componente strutturale e simbolica ma non l’esclusiva) può ambire ad una specificità reale benché sia la traduzione di un fatto accaduto dei più terribili, e nel momento in cui esso viene rappresentato acquista una sua identità spettacolare che lo confina dentro di essa. Solo Entre les murs di Cantet ha provato a documentare le difficoltà comunicative fra le parti ma con uno stile cinematografico disadorno dal quale traspare troppo la comprensione verso il disorientamento giovanile, mentre da L’attimo fuggente, o La scuola (di Lucchetti) a Detachment o peggio L’onda ci si barcamena fra romantici struggimenti letterari a sconsolanti e fallimentari protagonismi di adulti immaturi. Class enemy del promettente regista sloveno Rok Bicek mira ad un bersaglio più ambizioso. Isola le due componenti principali, la classe e il corpo insegnante nella figura principale di Robert, nuovo professore di tedesco. Attraverso un evento traumatico, il regista cerca di mettere in comunicazione le parti, ridefinendo quelli che sono i rapporti relazionali fra esseri umani e il ruolo di ognuno che come dice il severo insegnante differenziano gli uomini dagli animali. Lo strumento che Robert userà non contempla alcuna empatia verso i ragazzi ponendosi su di un piano che richiede loro uno scatto verso una crescita fino ad allora troppo rallentata. Il registro narrativo è simile a quello usato da M.Haneke per cui s’impone rispetto della regola in cui qualcosa di estremo accade e si assiste impotenti al suo sviluppo. Forse per questo, il concatenarsi della vicenda può dare adito a una tesi sequenziale costruita apposta per il suo logico epilogo, anche se la magistrale sequenza finale possiede una certa carica emotiva che ha la forza di imporre una riflessione più ampia e più aperta di quello che il film circoscrive all'interno dell'intero impianto narrativo. Prima però di queste tracce passionali non ci sono segni, siamo di fronte all’inesorabile svuotamento emotivo in favore di una costruzione provocatoria in attesa dell’esplosione delle contraddizioni. Paradossalmente la figura forte e facilmente definibile del nuovo insegnante si annulla nella forza di persuasione della cultura che trasmette, non sapremo in fondo come penetra e agisce sui ragazzi però. Bicek tratta tutto l’universo scolastico allo stesso modo, senza dare spazio ad alcun fraintendimento, gli studenti sono fragili contenitori da riempire, impreparati al conflitto interno ed esterno, il corpo insegnante è alquanto variegato e discutibile, ben appoggiato dai genitori dei ragazzi, adulti che sanno dare il peggio di sé, capaci solo di assecondare i figli nascondendogli le difficoltà del quotidiano. In tutto questo sistema sfasciato, Robert che viene subito apostrofato come nazista fa il suo mestiere, occupa senza retorica alcuna il ruolo a cui è deputato. Che la scuola insegni a vivere, sembra dire il regista, ma che non si sostituisca alla vita stessa, altri contesti, altri spazi sono la palestra dove si elabora il saper essere. Soprattutto il regista evidenzia grazie anche all’imperturbabile maschera da attore del protagonista, la distanza di posizione che differenzia ruolo e condizione che necessariamente devono risultare dai contorni definiti. Basterebbe mettere a confronto la figura dell’insegnante che Robert sostituisce temporaneamente perché in maternità, amica e confidente dei suoi studenti tanto da somigliare a loro, fraintendendo il sentirsi vicino ai giovani con il disimpegno educativo, l’ammiccante atteggiamento infantile e fintamente benevolo, in linea perfetta con la tendenza esasperata all’ascolto passivo e al rilievo delle posizioni degli studenti che diventano clienti, fruitori di un’azienda di cui selezionare i prodotti, e che avranno il potere di giudicare e di valutare (in caso di insicurezze a riguardo c’è la psicologa pronta a riabilitare chiunque), tutto nel nome di una comoda confusione. Con quali strumenti verrebbe da dire, se gli si offre versioni replicanti di ciò che già conoscono? Inevitabile la ricerca di un nemico, un diverso, di una voce fuori dal belante coro conformista che guasta i piani di una vita facile, ben scritta e preparata in cui non ci sono mai fuori programma spiacevoli da affrontare, e se questo comporta il lasciare emergere ignoranza, intolleranza e sterili ribellismi, poco importa, nelle favole in fondo il cattivo o il nemico perde sempre.
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