Regia di Rok Bicek vedi scheda film
Quando la professoressa di tedesco va in congedo per la maternità, la quarta classe di un liceo sloveno si trova davanti a un docente dai metodi retroguardisti, austeri e sprezzanti. Gli studenti sono insofferenti nei confronti dei suoi modi che definiscono "da nazista" e quando una loro compagna si suicida, il professore diventa il loro capro epiatorio.
Non si capisce bene cosa voglia raccontarci il film del non anocra trentenne esordiente sloveno Rok Bicek, a parte il mai sopito odio etnico che oggi si rivolge verso i "mangiariso" ("sloveni: se non uccidete voi stessi, uccidete gli altri", afferma lapidario l'unico studente cinese della classe). Il professore tetragono (interpretato impeccabilmente da Igor Samobor per la gioia del pubblico femminile) non riesce certamente a guadagnarsi la simpatia del pubblico eppure, in questa gara tra antipatici, parrebbe che i suoi metodi passatisti alla fine ne escano vincenti. Colpa dell'autopoiesi del sistema? Colpa dei ragazzi che sono diventati peggio dei professori? "Prima loro temevano noi; adesso siamo noi a temere loro", sentenzia la preside della scuola, raccogliendo in una sola frase un epocale passaggio generazionale. Così il film - che ingloba un surplus di materiale (famiglie disfunzionali, attitudine alle droghe, rapporti di opportunismo tra colleghi) - sembra limitarsi a una fotografia dello sfascio di un'istituzione, rivelandoci che lì, come in Italia, il sapere è l'ultimo degli interessi di una torma di studenti sempre più arroganti. Peccato però averli tratteggiati tutti in maniera così schematica e priva di sfumature, sfumature che costituiscono invece l'aspetto più profondo della riflessione sul tema del suicidio. "La morte di un uomo - diceva Thomas Mann - è meno affar suo che di chi gli sopravvive".
Premio Fedeora come miglior film della 28. settimana della critica (Venezia, 2013).
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