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Class Enemy - Nemico di classe

Regia di Rok Bicek vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Class Enemy - Nemico di classe

di laulilla
8 stelle

Primo film del regista sloveno Rok Bicek, presentato alla Sémaine de la Critique (Cannes-2013) ottenne unanimi consensi e numerosi premi. Per il modo duro del racconto,del tutto privo di compiacimenti e di retorica, il film è utilissimo a riflettere sul presente. Ispirato a una pièce teatrale di Nigel Williams (1978), ambientata a Londra.

 

In Slovenia, una classe di liceali saluta l’insegnante di lingua e letteratura tedesca, prossima alla maternità.

Gli studenti, molto affezionati, si erano “tassati” per regalare un bel passeggino al bebé in arrivo, evidente testimonianza del rapporto affettuoso che la docente aveva saputo stabilire con i “suoi” ragazzi: lei era, infatti, una che “sapeva come prenderli”, come avrebbe detto lei stessa alla preside. Siamo alle prime scene del film, che immediatamente ci trasportano nel vivo della vicenda.

 

Robert Zupan (Igor Samobor), il professore nominato al posto di lei, è un uomo non giovanissimo, di solida cultura, che subito prende coscienza di quanto poco la classe  sia preparata nella disciplina che insegna, e si chiede se l’attenzione verso i problemi personali dei ragazzi, che aveva reso così amata la collega in congedo, fosse in relazione con lo scarso apprendimento degli studenti, avendo forse compromesso l’efficacia del suo insegnamento, e avendo creato fra gli studenti, con poche eccezioni, un generale disimpegno.

 

E’ certamente un tratto del carattere di Robert Zupan il rigore intellettuale che, unitamente alla riservatezza e alla scarsa propensione ad ascoltare le confidenze degli studenti, lo rende immediatamente poco simpatico alla classe che lo percepisce ostile.

Siamo all’inizio di una guerra sotterranea, che a poco a poco diventerà aperta e crudele persecuzione nei suoi confronti, predestinato capro espiatorio di tensioni irrisolte acuite di lì a poco dal suicidio inaspettato di Sabina (Daša Cupevski), la studentessa più fragile e problematica.

La tragedia diventa l’elemento capace di scatenare una guerra vera, condotta senza esclusione di colpi dapprima contro Robert e poi contro l’intero sistema scolastico, attraverso la quale i ragazzi, nel modo più ingiusto e sgangherato, cercano risposte agli interrogativi angosciosi e insostenibili che la morte della loro giovane compagna aveva prodotto nel cuore di ciascuno, come se i mille perché, sollevati da quel gesto, potessero venire placati dalla semplicistica individuazione di una responsabilità inesistente.

 

 

 

 

 

 

Il tema del capro espiatorio,  affrontato in molti altri film - fra i quali è impossibile non citare  Il sospetto di Thomas Vintenberg - diventa anche l’occasione per mettere in luce molti luoghi comuni, diventati col tempo verità inconfutabili, intorno alla scuola e al rapporto fra studenti e docenti.

 

Si offrono al nostro giudizio, impietosamente, alcune scene memorabili che mostrando le discussioni in sala insegnanti, mettono in luce lo studentismo ingenuo e sciocco di alcuni professori, l’insopportabile maternage delle professoresse, il chiacchiericcio vacuo della psicologa, l’atteggiamento irresponsabile e invadente dei genitori, preoccupati esclusivamente di proteggere i loro pargoli. Viene alla luce, insomma, la scarsa serietà di coloro che dovrebbero dedicarsi, per ragioni familiari o professionali, all’educazione degli adolescenti.

L’immagine di Robert Zupan, che inizialmente era parsa assai poco simpatica anche a noi, spettatori del film, finisce per crescere nella nostra stima e per apparire gigantesca in mezzo alla quantità di adulti meschini ed egoisti e di giovani bamboccioni fragili, un po’ troppo vezzeggiati e coccolati per dare il meglio di sé.

Quella classe, nel suo insieme, è il significativo emblema dell’intera società, delle sue divisioni, delle paure che rinchiudono uomini e donne - di ogni età e di ogni condizione sociale - nella solitudine di un’identità nella quale soltanto si troverebbe il calore della sicurezza: quanto basta per tenersi lontani dagli altri, rifiutando l’ascolto, l’apertura del cuore alla comprensione e alla condivisione del dolore e della paura, in una parola, della solidarietà.

 

Un bel film asciutto e duro; una convinta difesa delle ragioni della cultura che, se rielaborata e rapportata all’individuale esperienza, aiuta a superare l'angoscia del diventare adulti e ad accettare se stessi e gli altri.



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