Regia di Jonathan Liebesman vedi scheda film
Megan Fox ha fatto pace con Michael Bay, può quindi rientrare a pieno titolo nello star system. Questa la riflessione più profonda che scaturisce dalla visione di Tartarughe Ninja. Cioè, ne hanno fatto un film: cosa ci si potrebbe aspettare?
Protagoniste di una serie animata che ottenne grande successo e popolarità tra gli anni ottanta e novanta, erano ovunque: sacchetti di patatine fritte, figurine, articoli scolastici, giocattoli. Ecco, proprio il termine giocattolo definisce la dimensione congeniale e compiuta delle storie alquanto infantili delle quattro tartarughe antropomorfe, perdipiù mutanti, ninja, protettori/giustizieri della città e che hanno i nomi di quattro "celebrità" del Rinascimento. Insomma, un bizzarro oggetto scherzoso destinato ad una fascia di pubblico ben definita.
Condizione che - è opportuno sottolineare - autori, produttori e regista hanno tenuto a mantenere e dichiarare, sin dai primissimi istanti. L'immancabile incipit introduttivo in forma di strisce, già (ri)chiede per ben due volte "pazienza", mentre alla prima apparizione gli eroi umanizzati tengono a precisare il loro status anagrafico: quel "siamo adolescenti", accompagnato da (innocue) manifestazioni tipiche dell'età (passioni musicali e tecnologiche, gusti alimentari, abbigliamento, espressioni gergali, primi fremiti ormonali), costituisce un inequivocabile manifesto programmatico sulla natura dell'opera.
Quanto passa sullo schermo, infatti, ha spirito giocoso e fanciullesco, passo spedito/schizzato, struttura (narrativa, estetica, tematica) elementare e facilmente riconoscibile, sani valori universali (l'unione fa la forza, credere gli uni negli altri, impareranno alla fine i Nostri), figure incasellabili in schemi sicuri protetti e garantiti (i buoni da una parte, i cattivi dall'altra); sebbene preconfigurato sui valori produttivi consistenti degli odierni blockbuster.
La storia è un pretesto, uno come tanti (inutile cercare quello che non c'è; insensato criticare quello che c'è), casomai è curioso (nonché strano) che abbiano deciso di cambiare alcuni fondamenti sulle origini delle tartarughe (dalle conseguenze del contatto con una sostanza radioattiva si è passati al frutto involontario di eseprimenti in laboratorio), revisioni nei quali viene coinvolta anche la figura della reporter April O'Neil. Decisione infelice e poco comprensibile, esecuzione approssimativa. Per quello che vale, naturalmente.
Perché poi a prevalere è il mix (leggero, inoffensivo) di trastullamento generale e condiviso composto da azione ed effetti speciali (con un picco mica male nella trascinante, adrenalinica sequenza sulla neve), caciara e humour; il resto lo fanno le battute, le facce, le pose: quelle da sitcom di Will Arnett, quelle "feroci" di un sempre sprecato William Fitchner, quelle "divertenti" e plastiche di Leonardo-Raffaello-Michelangelo-Donatello, quelle plastificate e innocentemente sexy di una Megan Fox strabuzza-occhi in evidente difficoltà quelle due volte che è chiamata a fornire una qualche vaga prova recitativa.
Non una novità. Così come non lo è il destino di questo film: l'inaspettato (anche se sperato) successo al box office ne ha già decretato il proseguimento.
Cowabunga!
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