Regia di Louis Malle vedi scheda film
E' film che colpisce, e del tutto sincero, che infatti racconta un episodio autobiografico per il regista. Louis Malle non è di solito il regista della sensibilità e della commozione, anzi è abbastanza freddo e qualche volta crudo. Qui, benché l'episodio narrato sia molto doloroso, il tono ha un che di lirico, e quella patina che hanno i ricordi profondamente impressi nella memoria e nel cuore. Il regista ha in particolare il merito di evitare le trappole del didascalismo e dell'enfasi, che sono sempre nei paraggi quando si parla di certi argomenti. Di solito ci si cade (quanto cinema sessantottino!) per l'ansia di “dimostrare”, e di provocare l'adesione incondizionata dello spettatore alla tesi del film. Qui niente di tutto questo, eppure la rappresentazione della crudeltà di tedeschi e collaborazionisti francesi è quanto mai efficace e racapricciante. Forse è proprio il tono dimesso e pacato di certe scene a colpire nel segno, come le perquisizioni al collegio e la sequenza dei tedeschi che scovano il ragazzo ebreo in infermeria. Quando il soldato lo prende per l'orecchio e lo porta via prende una stretta al cuore. Appare anche evidente l'infamia dei delatori: sia il ragazzo che denuncia per vendetta, che la suora infermeria per vigliaccheria e strizza. Malle aveva ritratto la figura del delatore e collaborazionista anche in “Cognome e nome: Lacombe Lucien”. E' un'altra prova del trauma che è stato quell'episodio della sua vita.
Quanto alla rappresentazione dei ragazzi, il regista fa vedere come serpeggino fra loro gli stessi sentimenti e idee che hanno causato la guerra combattuta dai grandi. Sono infatti diffusi la prevaricazione e il bullismo, e molti pregiudizi. Il film fa anche vedere come veramente le comunità religiose accolsero e nascosero più ebrei possibile, secondo le disposizioni di Pio XII (sì sì, proprio lui). L'addio dei ragazzi a Padre Jean, mentre lo portano in campo di concentramento, dove morrà, è commovente.
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