Regia di Federico Fellini vedi scheda film
Quanto valgono i sogni dei provinciali e degli ingenui?
Fellini lo domanda a sé stesso e a noi conoscendo in realtà già la risposta,poiché in questa tessitura lieve sulle timide sventure di due sposini parla anche di sé,e della consistenza talvolta ingestibile delle illusioni.
Con lo stupore che doveva essere all’arrivo nella metropoli,nel grande utero romano,e anticipando la propensione a scovare gli indizi della santità che trapelano da ogni fessura nelle mura romane,Fellini presenta due anime candide in cui non a caso è l’elemento femminile quello che tenta di concretizzare,anche se momentaneamente,la fuga dal piattume quotidiano,immaginando per sé un’audacia che di fatto non esiste,di cui la città,e la mentalità vi si trova,non potrebbe che sorridere,e deridere.
L’esordio completamente in proprio del riminese non è così svagato e giocoso come può sembrare,e pur nell’incertezza di alcuni momenti che ne denunciano i timori di opera tutta gravante sulle sue spalle,poiché già vi si possono trovare i primi protagonisti delle mostruosità familiari e sociali che in seguito avrebbe deformato fino quasi all’allucinazione,in cui lo sceicco di Sordi è tanto il protagonista delle innocenti fantasie di Wanda quanto il povero cristo che tenta goffamente di credere anch’egli di poter essere altro da ciò che è.
Quest’Alice nel paese delle meraviglie che perde il suo cavaliere,e,se potesse,forse non lo recupererebbe,spaventata dalla rivelazione che le favolose storie che legge sono contenute in quella stessa realtà da cui le sembrava fossero immuni,non si accorge che la sua colpa è praticamente invisibile,viva solo nel suo cuore incapace di elaborare il suo completo scollamento dalla realtà della sopravvivenza e della povertà(materiale e morale) di cui il suo sceicco non è la contraddizione ma l’estensione:se non ci fosse la disperazione ,forse non si potrebbe fantasticare né sperare.
Il nucleo familiare che l’accoglie,cintura invalicabile che circonda la condizione di beata ignoranza in cui tornerà dopo l’inesistente rivoluzione di un giorno,fa da testimone alla confessione e all’espiazione di una colpa mai commessa e nemmeno elaborata,sia da una parte che dall’altra:perdere l’innocenza non è facile,così come da parte dello sposo non lo è sganciarsi dalla pavidità che è un rifugio eterno,oltre non si vuole sapere cosa ci sia;il turbamento,in fondo,nasce da lì,dalla paura della novità.
Ancora vicino all’intrattenimento,allo spettacolo vivo e leggibile,prima che Fellini tentasse con alterne fortuna la vastità della riflessione sul peso dell’invenzione e della creazione e sull’abisso di solitudine che genera,Lo sceicco bianco è un film di fine fragilità e di immaginazione senza prepotenza,in cui il sogno è alla portata di tutti così come il pericolo di non svegliarsi in tempo, e l’imbroglio gli somiglia moltissimo,così tanto da indurre a ripensarci,a tornare alla realtà ,anche se quella realtà è l’accettazione è una perdita dell’innocenza che niente ha a che fare con la maturità.
Prima che si invaghisse del suo stile vorace,e si rinchiudesse negli esiti mastodontici della sua fantasia,sempre meno generosa e sempre più funerea,Fellini cucì una storia stringata e accessibile,in cui i personaggi sono scusati,curati,protetti. Ed è anche la prima dichiarazione d’amore per la Città Eterna.
Forse l’esperimento più promettente nel suo itinerario di italiano mediocre e sbadato nel recuperare le fila della sua patetica furbizia,almeno nelle vesti di comprimario tenuto a briglia corta.
Un’immagine più che un personaggio,affidato a questo viso tenero e un po’ anonimo,aggredito da una realtà di menzogne che non riconoscere come spicciole.
Il volto di Trieste e la sue movenze da burattino zoppo rendono ancora più surreale il suo povero signor nessuno che mai vorrebbe scoprire un’altra verità se non quella della propria mediocrità,condizione ideale di chi pensa che superare l’anonimato sia già un atto immorale.
L’apparizione abbagliante del film,la frattura in cui la tristezza si prende una pausa perché in quegli occhi l’infelicità ha poco tempo per resistere.
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