Regia di Stephanie Spray, Pacho Velez vedi scheda film
FESTIVAL DI LOCARNO - CONCORSO CINEASTI DEL PRESENTE
Dopo circa 400 km di macchina necessari per raggiungere Locarno e al quarto film consecutivo visionato appena giunto qui nel mio primo giorno al Festival, indubbiamente affrontare il film nepalese di due ore tutto ambientato su una funivia che collega una località dello stato asiatico con il luogo di culto che dà il titolo all'opera, non è una sfida da poco.
Alla proiezione per la stampa qualcuno deve aver fatto qualche conto in tal senso, perché in sala conto assieme a me non più di dieci persone, quando in genere durante le precedenti proiezioni le sedie rimaste vuote si contavano nelle dita di una mano.
Ed in effetti scandire due ore di pellicola con una dozzina di occupanti delle varie cabine che si susseguono nella salita (ma alcune volte anche nella discesa) dal/al Tempio, è una missione non facile nè per chi la mette in atto, né tantomeno per il pubblico che sceglie di dedicarcisi, magari per amore per quest'arte irresistibile che è il cinema e per la curiosità di affrontare nuove cinematografie di paesi emergenti, che difficilmente avranno opportunità di affrontare i circuiti normali della distribuzione commerciale.
Tenuto conto che il tragitto della funicolare dura circa (ma non l'ho cronometrato, l'ho solo vissuto a ripetizione diverse volte) 15 minuti, circa otto microcosmi di passeggeri ci appaiono uno dietro l'altro, inframmezzati da una partenza ed un arrivo che si mixano nel buio di una sosta che oscura tutto e conferisce una continuità alla pellicola. E si comincia senza alcun dialogo con un vecchio ed un bambino, poi una donna con un mazzo di fiori, poi tre ragazzi con un gattino, poi addirittura in un vagone per trasporti con tre povere capre legate assieme e terrorizzate dai rumori bruschi della teleferica ogni volta che questa incontra i pali di sostegno della struttura. Poi ancora due amiche che si scambiano confidenze, due donne anziane comicamente alle prese con un gelato che si scioglie in mano mentre tentano in modo buffo di limitare i danni ai vestiti colorati che le vedono addobbate per la cerimonia di ringraziamento.
Quest'ultimo tra l'altro è l'episodio più riuscito e tenero, assieme a quello dei tre ragazzi che ironizzano sul fatto che una funivia si addice di norma a contesti e climi decisamente più norcici.
Ad affascinare inoltre, senza tuttavia trovare risposte che ci confortino sulle origini che hanno dato vita al film, è proprio la struttura della teleferica, un'opera titanica e apparentemente incongrua "alla Fitzcarraldo" almeno a prima vista, che tuttavia trova una sua ragione di esistenza nel permettere a molti fedeli Indù di raggiungere in pochi minuti (ed in luogo di un cammino accidentato e altrimenti sfiancante di giorni) un luogo di culto per loro inevitabile ed importante. Una cabinovia che ci consente di sorvolare (e ripetutamente, date le circostanze e la struttura del film) paesaggi e nature incontaminate che magari stridono col progresso che ce le rende così a portata di mano, ma che rendono il progetto (e il film) meno assurdi ed inconcludenti di quello che si potrebbe pensare (e temere) facendosi prendere dal pregiudizio irriducibile, lo stesso che rende certi film oggetti forse preziosi, ma sicuramente ed inevitabilmente destinati a pochi sguardi .
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