Regia di Gilles Deroo, Marianne Pistone vedi scheda film
FESTIVAL DI LOCARNO - CONCORSO CINEASTI DEL PRESENTE Splendido film francese, straordinario ed innovativo nella scelta di un linguaggio e di una sceneggiatura che può ricordare per certi versi il cinema realistico, ma anche e contraddittoriamente surreale di Alain Tanner.
La tragedia di un diciassettenne che con orgoglio sceglie di lasciare la folle madre incapace di assicurargli una sussistenza decente, per essere destinato dal tribunale minorile ad un felice apprendistato in un ristorante del nord della Francia in qualità di aiuto cuoco, in un ambiente dove tutti imparano a rispettarlo e a volergli bene, si scontra in seguito con le assurdità della vita che qui si materializza in una aggressione immotivata da parte di uno sconosciuto armato di motosega che gli mozza improvvisamente, forse in preda agli eccessi dell'alcol, un braccio di netto. Il ragazzo, soprannominato da sempre “Mouton” (pecora) anche dalla sua nuova ed allargata famiglia, sarà costretto a rifugiarsi da uno zio in Picardia; dopo la disgrazia di lui nessuno avrà più notizia diretta, e nemmeno noi spettatori, in attesa vana ma speranzosa di rivedercelo apparire.
La coppia di registi Pistone e Deroo approccia inizialmente una narrazione neorealistica che ricorda inevitabilmente (ma è un dato positivo) il cinema dei Dardenne. Poi sul più bello sceglie di introdurre un io narrante e alcune efficaci didascalie con figure per narrare la tragedia, rappresentando solo le conseguenze della follia umana che genera drammi senza veri motivi (un po’ come la tecnica espressiva che incontriamo spesso nel cinema meraviglioso percorso tuttavia da classi ben più agiate nel cinema di de Oliveira, in Francisca ma anche in parecchia produzione successiva, degli anni ’80 e primi ’90, dove l'azione e' narrata mentre le conseguenze vengono rappresentate e filmate).
Una strategia interessante e dirompente per introdurre un dramma che giunge improvviso e tagliente come la lama che lacera la carne al povero protagonista. A questo punto – ed è questa la vera sorpresa del film – giunti a poco più di metà del film i registi scelgono di abbandonare il protagonista e di seguire le vicende di chi resta, di quella famiglia adottiva che ha trovato in Mouton un figlio, un fratello, ma anche un amore.
Una svolta che lascia perplessi inizialmente, ma che fa guadagnare al film una sua dignità e una personalità spiccata che ce lo segnalano come una delle opere più interessanti viste al festival.
La vita di un perseguitato dalle circostanze, dal caso e dalla sfortuna e del grappolo di umanità che ha scelto incondizionatamente di accudirlo e di fargli da famiglia, sono tematiche ricorrenti in letteratura ancor più che al cinema, e sempre in grado di coinvolgere la sensibilità di chi sceglie di affrontare un racconto del genere, specie quando, come in questo caso, si procede deliberatamente a percorrere sentieri di racconto classici per poi stravolgerli senza preavviso; allo stesso modo, se vogliamo, di come ci sorprende la vita con le sue tortuose e inspiegabili dinamiche, occorrenze e tragedie che ci lasciano a terra come morto, ma che se riusciamo a superare, ci avvolgono anche in una corazza ancor più potente utile per predisporci ad affrontare più potenti e scafati un futuro sempre costantemente incerto.
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