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The Stone

Regia di Se-rae Cho vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su The Stone

di alan smithee
6 stelle

FESTIVAL DI LOCARNO - CONCORSO CINEASTI DEL PRESENTE
Considerata la mia particolare predisposizione ed attrattiva verso il cinema coreano, il fatto che The Stone rappresenti il mio quarto film consecutivo della mia seconda giornata festivaliera sulla carta non rappresenta una grossa problematica. E' anzi uno di quei film che prendo a scatola chiusa e a cui assisto senza voler sapere nulla sulla trama, un po' per assaporare il piacere raro di scoprire tutto sul momento, un po' perchè un film coreano è per me irrinunciabile a livello concettuale. Scoprire che il film è incentrato su un gioco cervellotico che forse tutti voi conoscerete, al contrario di me (si chiama "Go"), strutturato con pedine bicolori come la dama o gli scacchi ma più complesso del primo e (probabilmente) meno "nobile" del secondo, mi getta un po' nel panico. Dopo lo splendido ma non certo immediato e facilmente "digeribile" film-fiume di Albert Serra su Casanova e Dracula, mettermi a decifrare i concetti di un gioco di strategia come quello che sta alla base della pellicola, mi fa inizilmente cadere nello sconforto. Almeno fino al momeento in cui mi persuado che non è necessario capire in modo preciso le strategie e le regole di questo gioco di abilità e riflessi mentali. Per fortuna al cinema si può spesso sorvolare su argomenti che per una qualche ragione si ignorano, e tutto ciò senza perdere il senso del racconto o della vicenda. Che in questo caso contrappone, o meglio avvicina il capo banda criminale Nam-jae al ragazzetto Min-su, abile giocatore d'azzardo per meriti materni e in particolare molto disinvolto nel gioco del Go. Affascinato dalle strategie che stanno alla base della sfida a due tipica del gioco del go, il boss pretende che il giovane diventi suo insegnante per imparare bene ad affrontare gli eventuali rivali che si presenteranno. Una volta divenuti rispettosi l'uno dell'altro, il criminale propone al ragazzo di iscriversi ad una scuola che lo faccia abilitare al rango di "pro" (forse acronimo di "professionista") in modo da partecipare ad una sfida ufficiale a carattere nazionale. Questa nuova iniezione di fiducia reciproca tra i due spinge entrambi ad una maturazione: il malavitoso capisce che è ora di ritirarsi lontano a pescare e per questo progetta la fuga, mentre il ragazzo impara a rifuggire le atmosfere meschine dell'azzardo e gli ambienti marci e malavitosi ove regnano le gang del suo "alunno". Ma soprattutto tra i due nasce un rapporto che è molto vicino alla paternità e alla figliolanza reciproca, considerato che uno non ha mai avuto la possibilità di divenire padre, sempre immerso negli sporchi affari della sua gang, mentre il ragazzo lo ha perso un padre molti anni addietro e vive ora il suo incubo di espedienti d'azzardo incitato da una madre che organizza incontri truccati e bische clandestine. Il rapporto tra i due, rispettivamente interpretati dal duro Roi ha-kim (quasi un Charles Bronson koreano) e dal ragazzo dal viso delicato Cho Dong-in (presente a Locarno) è il vero punto di forza di un film medio, che soffre forse un po' troppo di una eccessiva focalizzazione su un gioco che diventa troppo una ossessione (ma in fondo io che ne so che non conosco neanche le regole!!!) ma risulta altresì musicato in modo insolito con intrammezzi di valzer piuttosto originali in un prodotto dell'est e di fatto effettivamente accattivanti se non coinvolgenti. Finale shakespeariano nella più classica tradizione della mattanza coreana senza pietà, che ormai ci aspettiamo o addirittura pretendiamo.

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